Ci sono partite di futsal femminile, interminabili. Difficili da guardare, dalla durata siderale se si decide di osservarle. Alcune, rare durante una stagione d’italico calcio a 5, invece volano via in un battito di ciglia. Nelle quali la parte più lunga è l’intervallo. In quei giorni la birra di metà tempo sembra non essere necessaria. Tanto è il desiderio di veder rotolare ancora il pallone.
Per i suoi tifosi questo Montesilvano rappresenta probabilmente una esperienza complicata. Come quelle relazioni nelle quali, una delle parti è profondamente innamorata e l’altra sul più bello, trova sempre un modo per lasciarti l’amaro in bocca.
Per confessare: che no, non è disposta ad impegnarsi. Ma i tifosi, quelli che s’infilano in una macchina per macinare chilometri sono innamorati troppo, e quindi capaci d’un perdono senza confini. Restano in attesa di un “si”, d’una parola d’amore.
Quella tra Montesilvano e Falconara è stata partita vera. Intensa come possono esserle quelle nelle quali il risultato conta, l’orgoglio anche, le motivazioni forse di più. Alla fine qualcuno deve uscire dal campo sconfitto, il pareggio non è contemplato. Alla fine del primo tempo però i visi che s’incontrano al bar, sono tirati, da entrambe le parti.
L’espulsione di Manieri, il gol subito in inferiorità numerica ed ecco che il tifoso di casa si deve essere sentito abbandonato, deluso come quando la ragazza della quale sei innamorato vuol restare solo amica, mentre tu, tifoso, sei follemente innamorato. Una sorta di “friendzone” sportiva.
Pronti per l’inevitabile rifiuto, l’ennesima delusione di una relazione complicata. Invece. Le donne sono così, ci sorprendono. Sempre. Mentre s’allargano i sorrisi tra quelli assiepati sulle tribune mi chiedo: dov’era nascosta questa squadra? Perché non è quello che ho osservato fino a ieri.
Da dietro la porta, letteralmente alle spalle di Sestari, l’impressione era quella di una squadra che avanza come una mareggiata. Di quelle che s’abbattono d’inverno sulla spiaggia. Quelle però senza il muro della ferrovia a ridosso. C’è una veemenza, una carica agonistica nelle ragazze con la maglia a strisce biancoazzurre così grande che non deve essere stato facile nasconderla, fino ad ora.
“Arbitro cos’è un time out o una rimessa laterale?”
In una frase, in un modo d’impeto anche scomposto come il parapiglia finale. In quei momenti c’è tutto quello che uno sport vero, agonistico, deve contenere. Perchè uno solo vince e tutti gli altri perdono. Aggrappano alla rete a strascico del tifo anche gli istinti più bassi. Quelli da rigettare e condannare ma che sono parte dell’animo umano, quello corrotto.
Una vittoria che conta poco se non per questioni diverse dalla classifica. Non assegna titoli, meriti, medagliette o coppe in simil metallo. Resta però un manifesto, uno spettacolo al quale val la pena assistere. Uno di quelli che diventano storie e arrivano fino al bar come tutte i racconti che meritano.