Sara con il numero 4 e Taina con il 16

Quando ho iniziato a scrivere questo pezzo, doveva essere un “Caffè Corretto”, un riassunto senza fronzoli, orpelli e luoghi comuni, della domenica di futsal e di sport. È diventato altro, come accade spesso quando si scrive, le parole svoltano angoli diversi da quelli immaginati in precedenza.

È diventato una sorta di “Partita che ho visto”, piena di virgolettati, che sono un po’ flusso di coscienza e molto frutto dell’incoscienza, mia. Forse potrebbe essere l’inizio di una nuova serie d’articoli, forse è solo un evento casuale. Tanti i forse, perché del futuro non v’è certezza, così per non farvi sentire la mancanza d’un luogo comune.

Un palazzetto a due passi dall’ospedale della città, una sera di quelle finalmente d’inverno. Le luci gialle nella foschia, il derby della Capitale alla radio, quello vero tra Lazio e Roma, in diretta. Scelgo però una Lazio diversa, quella del calcio a cinque femminile.

Perché sono curioso di vederla dal vivo, l’ennesima creatura del suo deus ex machina Daniele Chilelli. Centrale difensivo Corin Pascual, prossima al sue quarantaduesimo compleanno. Passano i primi cinque minuti e penso: “ora esce”. Ne passano dieci e lei è ancora lì a correre dietro alle ragazzine con la metà dei suoi anni. Ci sono atleti ed ATLETI, Corin è della seconda categoria.

C’è un volto che non riconosco, non è che questo sia particolarmente inusuale per me. Indossa la casacca biancoceleste con il numero 4. Chiedo l’aiuto da casa: “Sara Conticelli, classe 2005”. V’è mai capitato d’osservare un giocatore per la prima volta e pensare: “può giocare”, nell’accezione anglosassone del termine: “She is a Baller”.

Sono quei giocatori che hanno l’attitudine a comprendere il gioco con quell’attimo d’anticipo sugli altri abilità che permette loro di essere al posto giusto al momento giusto. Quando corrono sul campo lo fanno con una naturalezza tale da sembrare che solchino il parchè invece di calpestarlo.

Non sorride mai Sara. Non dovrebbe essere divertente giocare? Forse è solo estremamente concentrata, penso. Impegnata a non commettere errori e dimentica che però gli errori sono parte integrante del processo d’apprendimento, del suo miglioramento. Quando ovviamente non sono una costante ripetizione.

Indossa il 4. Che non è un numero banale. Se per anni nel calcio è stato il numero del giocatore incontrista per antonomasia poi è diventato il numero che associamo a Koeman, Albertini e a Patrick Viera, tutti calciatori dotati di sopraffina intelligenza tattica e piedi educatissimi.

Duemila cinque. In quell’anno in California una sconosciuta start up lancia un portale per soli video: YouTube. Muore un Papa, Giovanni Paolo II, al cinema esce La Vendetta dei Sith. Sembra quasi storia e forse lo è per chi l’ha attraversata, capita che nasca anche Sara in quell’anno lì.

Torno a guardare la partita, in tempo per vedere le due squadre seguirsi ed inseguirsi. Per osservare Vanin straripare fisicamente addosso alle avversarie. Taina tirar fuori uno dei suoi colpi, di quelli che anche se stremata, trova la forza di strizzare fuori dal suo immenso talento. Lo stesso che la fa discutere con l’arbitro, le compagne, la panchina e se stessa. Soprattutto se stessa.

Ho la sua maglia, quella azzurra della nazionale, poggiata sulla tastiera. Profuma fortissimo del profumo di lei e il gatto solitamente curioso si siede vicino, l’annusa e starnutisce. Sono così i regali, quelli che diventano più d’un oggetto. Si trasformano in un pensiero, un momento nel quale abbiamo pensato a qualcuno, così tanto da renderlo tangibile. Questo di regalo si sparge e riempie la casa di profumo e non puoi non notarlo.

Le maglie da gioco sono la corazza, spesso pesante, che s’indossa per partecipare alla battaglia sportiva, si spera incruenta e quindi senza infortuni. Le conservo sul muro, in una cornice ma sto pensando ad una nuova sistemazione, qualcosa che le renda importanti come quei vini che si conservano in attesa delle occasioni speciali.

Fischio finale, gli abbracci ma quelli sfiniti. Mi fermo per un po’ ad osservare i volti, arriva poi quella voce “aspetta qui ho qualcosa per te”, mi trasformo nel bimbo la vigilia di natale, quando aspetta di scartare i regali, succede così, sempre.

Finisce una partita, che forse ho visto solo io, che esiste per me esattamente come quella sul tabellone esiste per tutti gli altri. Alla prossima, sicuramente.

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