La nuova stagione di FutsalTV ha regalato agli appassionati di futsal italiano anche una serie di finestre in diretta sulla seconda divisione di calcio a 5 nazionale. Pomposamente ribattezzata serie A2Elite. La paura della B non solo come lettera dell’alfabeto pervade il mondo del pallone che non rimbalza bene.
In onda c’è Città di Melilli – Lazio. Sul campo del Palavillasmundo, che non è palazzetto come sembrerebbe indicare il nome, ma una tensostruttura. Pubblico assiepato su spalti in metallo tubolare, campo di colore blu che vorrebbe essere un parquet ma non lo è, tabellone elettronico che fa un po’ come gli pare.
M’arriva il link che il risultato è già a favore dei siciliani, con il commento “metti subito ti stai a perde’ qualcosa”. Chiedo cosa e apprendo così che il Melilli ha cinque squalificati, tra i titolari, alla prima di campionato.
Il Melilli è in maglia nero verde, più verde che nera, un solo cambio per due minuti. Sudati come se quello fosse un bagno turco sparato a palla. I ragazzi agli ordini di mister Mittelman sembrano posseduti da uno spirito che ha comunicato loro che quella sarà l’ultima partita che giocano in vita loro.
Non conosco i nomi, gli ottimi appassionati commentatori sono precisi nel darmi i giusti riferimenti. Ma io sono pessimo e mi focalizzo sul “numero 10” che ha gran piedi ma una forma fisica altamente rivedibile e il “numero 22” che sembra un bambino ma pare abbia già passato la trentina. Il portiere in giallo sembra respingere qualsiasi tiro che non sia diretto verso i pali o fuori.
Avanti tre a uno, contro una Lazio certamente più accreditata alla vigilia. Tanto che nell’ambiente dei siciliani si parlava di campionato da iniziare davvero alla prossima giornata, quando sarebbero rientrati i due stranieri e gli altri due titolari.
Quelli del Melilli non escono mai dal campo. Per chi è abituato a vedere un cambio ogni tre minuti questo evento è sufficiente a portare questo incontro a un livello di eroismo sportivo che mi ricorda anche le partite amatoriali di giovedì sera d’estate, a 40 gradi anche di notte e umidità al 94 per cento.
Quando la Lazio accorcia sul tre a due penso: “ecco è finita, ora scendono giù ancora e pareggiano, il Melilli è scoppiato non è umano correre tanto e in quelle condizioni”. Invece in una ripartenza micidiale i siciliani allungano di nuovo. “Massimo vantaggio” mi informa una delle voci in telecronaca. Come al campetto quando l’unico numero che conta davvero è quanto sono distanti nel punteggio gli avversari.
Ma non può durare, non lo fanno mai le storie belle. Questo è il pensiero che m’accompagna ad ogni offensiva della Lazio. Non perché m’importi particolarmente di nessuna delle due ma è piuttosto umano tenere per gli “underdogs” per quelli che sono chiaramente sfavoriti. Il 4 a 3 non mi coglie di sorpresa e nemmeno il pareggio dei biancocelesti quando manca ormai pochissimo alla fine.
La traversa colpita dalla Lazio ad una manciata di secondi della fine sembra essere il sigillo ad una storia che poteva essere bellissima e invece è una normale, una delle soliti resoconti di partite. Si spegne tutto il mio entusiasmo così a pochi secondi dal fischio finale di un tabellone che s’accende si spegne un po’ come vuole. Ma quante cose possono accadere nello spazio di tempo d’uno swipe su Instagram?
Tutto. Può accadere di tutto. Nell’azione successiva il Melilli trova il gol del 5 a 4. L’ennesima ripartenza sorretta dentro a gambe che non hanno l’aspetto di quelli di atleti ad alte prestazioni e la finalizzazione d’arroganza e disperazione magnificamente mischiate insieme.
Al fischio finale ci sono giovani donne che s’abbracciano e ventagli chiusi che diventano strumenti di giubilo. Uomini sudati che abbracciano altri uomini sudati, come quando erano bambini e in un modo che si vergognerebbero di ripetere in qualsiasi altro posto pubblico.
Ci sono camicie inamidate ma dal sudore, sorrisi di chi sa che ha compiuto una impresa che seppur piccola resta una impresa. La delusione di chi esce sconfitto ma non può che ammettere d’essere stato parte di qualcosa di meravigliosamente speciale per quanto privato. C’è la gioia di chi ha vinto anche se non importa a nessuno fuori da quel “pallone”, importa a loro e tanto basta, a volte.
Sono sicuro d’aver mischiato i ricordi con la mia fantasia. D’aver raccontato questa partita non per come è oggettivamente andata ma per come l’ho vissuta, io. Da lontano con le braccia alzate al gol della vittoria perché se non tieni per quelli sfavoriti allora ti meriti il fuSTal, le interviste piene di progetti e famiglia, gli spalti vuoti ma pieni solo per alcuni e l’oblio.
Prometto d’imparare tutti i nomi del Melilli, cittadina che ho dovuto cercare sulla cartina perché a parte avere una vaga idea della sua collocazione geografica siciliana non avrei saputo dire altro. Gli striscioni fatti con lo spray ma con la mano di chi non è uso a realizzarli, li ho amati. Così come quelle donnine che a bordo campo agitavano nervosamente i ventagli. L’uomo fuori dalla tensostruttura che guarda la partita praticamente dalla strada è quello che il calcio a 5 dovrebbe essere.
In molti vorrebbero essere Palma – Barcellona. Credo ci sia una unicità, un valore, nell’essere Melilli – Lazio. Qualcosa in quella partita m’ha permesso d’identificarmi con gli attori di questo straordinario dramma sportivo. Tanto con i vincitori quanto con chi è uscito sconfitto, già perché appena terminata la partita il pensiero non può che correre ai ragazzi in maglia biancoceleste. Senza di loro, nulla sarebbe stato possibile. Grazie.