L’ho vista. La prima partita di regular season giocata nel “Field of Dreams”, in Iowa.
Si, ne scrivo ancora. Un po’ perché la cosa m’interessa davvero, un po’ perché le notizie nuove languono. Di quelle che sembra lo siano ve ne ho già parlato in abbondanza. Non è che Janice e Fifò oggi, siano giocatrici diverse da quelle che abbiamo conosciuto insieme un mese or sono.
Mentre immagino Bart Simpson, scrivere alla lavagna: “questa squadra è come una famiglia”, l’orologio finalmente segna l’orario che attendevo.
Play Ball. Nel cuore della notte, si spalanca questa finestra su quello che è un sogno collettivo.
La Major League l’aveva promesso. Per una volta, ha mantenuto la sua parola senza impiegare tempi eonici. Intorno a quel campo ha eretto degli spalti, uno stadio. Un diamante, anche nel senso letterale del termine. Ha poi orchestrato uno spettacolo, davanti al quale ho dovuto asciugare delle lacrime, le mie.
Pensate che sia una esagerazione. Ascoltate la voce rotta dalla commozione del premio oscar Kevin Costner. A lui è spettato l’onore e l’onere di presentare agli Stati Uniti e al mondo, questo evento epocale.
Le squadre sono arrivate come nel film, attraverso il campo di granoturco. Sono letteralmente apparse. Tutta la serata è stata una carezza al cuore. Ne abbiamo tutti bisogno. Di sentirci parte di qualcosa di più grande, di buono. Il primo fuoricampo vola oltre la recinzione in fondo al campo, direttamente in mezzo alle pannocchie. Mi torna alla mente una citazione sempre da un film di baseball. Moneball: “How Can You Not Be Romantic About Baseball?”
La notte è arrivata, l’ho attraversata e quando dal mare s’è alzato il sole, il cuore forse era più pesante. Gli occhi lucidi e forse certe avvenimenti ti colpiscono solo se sei disposto ad aprirti al mondo. A restare a terra, sporco di terra rossa. Inseguire la palla in mezzo al granoturco, correre sopra a dei sacchetti bianchi, vestito con quello che ogni tanto sembra un pigiama e a volte è anche troppo stretto.