La lettera aperte delle giocatrici dell’Italia di calcio femminile, postata sui social da quasi tutte le firmatarie, per giunta utilizzando un logo vecchio della nazionale, è l’epilogo dilettantesco dell’avventura sportiva di un team di professioniste.
Sarebbe bastato che Girelli e compagne avessero prestato attenzione davvero, a quello che accade intorno a loro. Avrebbero scoperto, facilmente, che le “lettere aperte” non sono uno strumento con il quale manifestare dissenso.
C’avevano già provato le loro colleghe della Spagna. In una lettera consegnata a Marca avevano chiesto alla federazione spagnola, la testa del loro commissario tecnico. Minacciando di rinunciare alla convocazione qualora non fosse stato rimosso. Risultato? Il CT è ancora al suo posto e gran parte delle firmatarie sono state epurate.
A voler indagare in contenuto, di una lettera che ricorda: “lo scarso supporto federale, la poca fiducia”, occorre rammentare che nessuno dei due elementi ha direttamente impedito alla stessa Girelli di girare nella porta vuota e dentro l’area piccola, il più semplice dei tap-in contro il Sudafrica.
Sono questi elementi che probabilmente al massimo, manifestano lo scarso interesse reale della Federazione Giuco Calcio. La stessa che per bocca del suo massimo dirigente: “non insegue le grandi nazionali, ma piuttosto vuol incrementare le praticanti”.
Se la Girelli nella sua lettera c’avesse spiegato come mai l’Islanda che non ha certo il numero di abitanti dell’Italia, né quello di praticanti del calcio femminile, si posiziona davanti all’Italia nel ranking FIFA, forse da appassionato avrei apprezzato maggiormente.
“Sono stato azzurro di sci”. Frase divenuta celebre in uno dei film di Fantozzi. Mi torna alla mente ogni qualvolta si manifesta l’approdo in nazionale di un atleta scelto tra pochissimi praticanti della disciplina. La Nazionale non è un punto d’arrivo. Rappresenta un diverso livello d’impegno, spesso più alto.
Il passaggio al professionismo è anche questo. Niente più: “grazie lo stesso”. Lo scrutinio attento, implacabile e perché no anche ingiusto da parte di quei media dei quali prima queste stesse atlete lamentavano l’assenza.
La differenza tra essere professioniste pagate per un lavoro e delle dilettanti che fanno anche le calciatrici è proprio in questo cambiamento d’atteggiamento. Non solo degli addetti ai lavori ma anche del pubblico.
Scoprire che c’è più gente che vuol vederti fallire di quelle pronte a festeggiare il tuo successo non può essere una sorpresa. Rappresenta la quotidianità di ogni professione, in un paese poi come l’Italia dove il successo non è visto come qualcosa a cui ambire ma una fonte d’invidia rancorosa.
Le donne del calcio femminile hanno per anni lamentato l’assenza d’interesse mediatico e ora che l’hanno ottenuta si lamentano di quello che gli anglosassoni chiamano “blacklash”, seriously?
Provate a dare una occhiata ai media americani. La nazionale femminile a stelle e strisce per la prima volta nella sua storia non vince una partita nella fase a gironi d’un Mondiale. Non c’è canale sportivo, digitale, via cavo o via satellite che non ne parli. L’hype è anche questo.
La crescita di una disciplina passa anche dalla maturità emotiva e professionale delle sue praticanti. Le letterine rancorose non aiutano, non servono e anzi producono l’effetto contrario.
Prendo a prestito come chiosa finale, le parole di Moris Gasparri su l’Ultimo Uomo:
“… dopo l’eliminazione dell’Italia e lo strazio delle ultime due partite contro Svezia e Sudafrica è un esercizio di resistenza minoritaria, da valdesi della fede sportiva, esploratori di mondi lontani e di sogni, talenti, investimenti, idee, progettualità altrui. Come gli uomini imprigionati sul fondo della caverna platonica, che vedono solo ombre scambiandole per l’unica realtà, in Italia la percezione media del calcio femminile, che si basa in maniera prevalente sulla visione delle partite della nazionale nelle grandi competizioni, è fatta da due anni a questa parte di obbrobri vari (Italia-Sudafrica è stata una partita di rara bruttezza tecnica, da ambo le parti), che originano purtroppo una forte denigrazione generale di questo sport, mentre fuori dalla caverna, nei principali paesi europei, il pubblico spettatore è da tempo assiso di fronte al cielo splendente della verità e delle idee, che ha le sembianze di una Lauren James o di una Esmee Brugts, giusto per fare due nomi.”