Caffè Corretto – Nazionali d’oltremare

La vecchia Europa è percorsa da tornei estivi di futsal, dall’altra parte dell’oceano le nazionali under 17 si contendono li titolo di campioni del Sud America. Nell’eterna contesa tra Brasile e Argentina non riescono ad inserirsi altre squadre, almeno nel futsal. La vittoria finale resta confinata alla tenzone tra queste due squadre.

Nel vecchio continente si ha la percezione che a parte Spagna e Portogallo under, molti pratichino il calcetto invece del futsal, con modesta aggressività agonistica e da quella parte del globo s’insegni futsal anche ai ragazzini.

Probabilmente le competizioni tra nazionali sono retaggio d’un anacronismo sportivo, di una condizione politica, sociale ed economica d’un mondo che non esiste fortunatamente più. L’evoluzione economica dello sport come volano industriale le ha rese sempre meno occasione, opportunità.

Sospeso in un limbo legislativo non uniforme, costretto a dimenarsi tra regolamenti diversi, in bilico tra norme nazionali e internazionali profondamente diverse, il futsal fatica a trovare una sua identità come industria restando inevitabilmente spesso un costoso passatempo.

Se oltremare si crescono giocatori con l’intenzione di monetizzarli, qui non è possibile. Si finisce quindi prigionieri di una logica prettamente economica. Se non riesco a produrli perché esiste una voce di costo e nessun ricavo, mi rivolgo a chi ha il prodotto già pronto. Che questo sia un giocatore, una macchina o un servizio importa poco.

Scopriamo così una realtà italiana incapace di guardare al problema alla sua radice. Ci sono paesi nei quali i talenti sportivi non vengono sviluppati semplicemente perché quella non è una carriera sostenibile per la vita sociale dell’atleta. Non ci si vive insomma.

La passione non paga le bollette. Negli sport dilettantistici, questo è un mantra che non si può dimenticare. La precarietà della carriera sportiva necessita che sia monetizzata e in fretta. Richiede anche capacità di soffrire, d’accettare inizi umili per creare l’opportunità.

Quanti giocatori dell’italico paese accetterebbero di andare a giocare all’estero per una cifra irrisoria per costruirsi una carriera futura? Ecco, lì fuori è pieno di “stranieri” disposti a farlo. A giocare in qualche remoto paese latinoamericano oppure tra le steppe oltre gli urali. Nella speranza di monetizzare lautamente il futuro.

Prima del talento, probabilmente in questa magnifica penisola, manca inevitabilmente la fame, quella vera. Quella disperata. Quando non hai un posto nel quale tornare, un rifugio sicuro nella tempesta, sei disposto a rischiare, perchè alla sofferenza sei aduso.

A differenza di una economia a capitalismo avanzato, che genera nel paese l’idea che il talento paghi per una scuola calcio. Resta invece a correre in un campetto spelacchiato di periferia e che forse alla sera non trova sempre il piatto pronto e fumante in tavola.

Forse il talento c’è. Però non è abbastanza una promessa, una speranza per coinvolgerlo quando le opportunità che si presentano sono economicamente più vantaggiose. Oppure quando altrove svilupparlo quel talento costituisce anche un vantaggio economico. Ai “locals” invocati dalla FIGC forse non importa abbastanza e potrebbero non avere torto.

Total
0
Shares
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Related Posts