Dove nessuno conosce il tuo nome

Chiudo la radio su Telegram, una mezz’ora a parlare di loghi che somigliano a Flo Capp, di power ranking, di giocatrici e giocatori, che arrivano che partono e perfino quelli che s’ostinano.

“Stasera 18.30 siamo alla spiaggia del giova beach partu”. A voler essere noioso, Jova e party. Quel pezzo di spiaggia, libera, si vede dal balcone di casa. È proprio uno spicchio di sabbia e salsedine nella quale s’aggirano in branchi, anziani con le sedioline, gli ombrelloni portati da casa e i tavolini da picnic.

Proprio sulla battigia, c’è qualcuno, anzi ad essere pignoli qualcunA, che prova a giocare a calcio tennis. I risultati non sono dei migliori. Alcune nipotine, di qualcuno degli anziani inalatori di iodio, le guardano incuriosite. Difficile capire cosa le spinga ad osservarle con tanta attenzione. La curiosità? L’ilarità? Un po’ buffe lo sono, come lo è un viso sporco di zucchero a velo.

Hanno giocato anche in Serie A, quella vera, di futsal. Militato in Serie A2, di calcio a 5. Tutte ripartiranno dalla Serie C e dal calcetto. Non ricordo i loro nomi, a parte un paio. Non ho fatto nessuno sforzo nemmeno per memorizzarli in precedenza. Sono qui, ad osservale giocare, Perché? Perché non tutti quelli che vagano si sono persi. Questo vagare ma portato qui.

La palla viaggia in alto, oltre la rete, andrebbe respinta di testa. Un gesto veloce, Valentina si sistema gli occhiali e nello stesso tempo riesce a colpire il pallone con precisione. Una coordinazione ammirevole, una rapidità nel gesto di riposizionarli correttamente quasi impercettibile. Le osservo giocare, sfidarsi, il punteggio è una variabile secondaria che oscilla tra la competizione e il “chi segna questo vince tutto”.

Trovo una sediolina, poggio lo zaino, dentro c’è la reflex, quella vera, quella che ha scattato e fermato, tante e forse troppe, immagini di partite di alto livello.
“Where Nobody Knows Your Name”. Il libro di John Feinstein, un meraviglioso racconto della vita nelle leghe minori di baseball. Quel mondo popolato di giocatori che cercano di salire nelle Major, di quelli incastrati in una carriera mediocre e di quelli che provano a riprendersi un posto al sole.
Le osservo e forse, quello che s’apprestano ad intraprendere è un viaggio molto simile, a quello narrato da Feinstein e al mio.

Si fermano anche a giocare a qualcosa che assomiglia a “rubandiera” ma è anche tipo “tris”. Ora capisco cosa ci facevano dei cerchi dell’hula-hoop appoggiati alle loro borse. Finita la tenzone, l’afa ha dettato i suoi tempi. Il mare lì e non approfittarne per loro sarebbe un delitto.

Ho seguito distrattamente dei giocatori entrare in acqua. Capelli raccolti in improbabili acconciature, tagli troppo corti, alcuni frutto dell’odio evidente del parrucchiere. Quelle che però escono dall’acqua ora, non solo le stesse. I capelli sciolti, niente pantaloncini arrotolati come i manovali sulle impalcature. Queste donne, da dov’è che sono arrivate?

Ci sono le birre, gelate. Il frigo portatile ha anche l’apribottiglie collegato al manico con una piccola corda. Hanno le pizze, le patatine fritte, quelle confezionate. Meglio specificare. Tutte hanno un lavoro, di quelli normali, comuni e quasi usuali. Autista di autobus, carabiniere, impiegata.
Appaiono dei fogli di carta, rigorosamente spillati nell’angolo.

Tesseramenti. Un mondo diverso. Un “altromondo”, parallelo a quello d’apice. Costoso, per chi lotta per ogni centesimo. Perché il campo per allenarsi costa. Le maglie: “vanno bene quelle dell’anno scorso”, il logo sarà inevitabilmente brutto, ma non più dei campi all’aperto con l’erbetta sintetica, consumata e scolorita. Il nome della squadra è una iperbole, forse come le loro vite sportive.

L’ultimo gradino della scala. Da questo punto puoi solo salire. Sarà un viaggio, nella periferia del movimento, fuori dal clamore del calcio a cinque. Dentro ai loro cuori, le loro vite, i loro occhi e i loro perché. Stacco dal mio cuore l’ultimo biglietto, lo affido a loro. Lo zaino che ho portato con me è pieno di brutti ricordi, così come quello di alcune di loro. Mancano dei pezzi di vita, che mancano anche a loro.

Saluti.
M’incammino verso un chiosco, c’è Marco che spazza la sabbia. Indossa il più improbabile dei pantaloncini psichedelici. Infastidito dal mondo, dal capitalismo e dalle conversazioni inutili. Scarica il suo sarcasmo addosso a gente a caso, che nemmeno s’accorge di quello che accade. Messi, l’ignoranza, le serie tv e la storia di quello che aveva una tonnellata di droga in camera a Lipsia.

A vent’anni qualsiasi cosa è stretta e per fare in modo che non lo sia, devi scoprire quanto è grande il mondo.
Palio, la faina incidentata bassista, la sabbia sull’asfalto. La parlata tedesca, è tempo di ferie in Germania. San Lorenzo, le stelle cadenti.

“Can we pretend that airplanes in the night sky are like shootin’ stars. I could really use a wish right now, wish right now, wish right now.”

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