Nel grande disegno delle variabili umane, una partita di futsal femminile italiano non è che un moscerino che si spiaccica sul parabrezza della vita. Domani andrete al lavoro e se dite che vi siete sparati ore di viaggio per vedere una partita di calcetto tra le donne, riceverete in cambio sguardi perplessi.
Questo mondo iperconnesso, è composto da mondi minuscoli nei quali spesso ci ritroviamo incastrati, quasi aggrovigliati. Nel microcosmo del futsal femminile, tutto è amplificato dalla vicinanza. Gli inglesi dicono “when you screw up, everyone knows”, una specie di: “quando fai una cazzata lo vengono a sapere tutti”.
“Non nella tua porta”.
M’è parso di percepire più forte il rumore di quello che si rompeva dentro al giocatore che il boato giusto del pubblico tifoso della squadra avversaria. Se avessi indossato la tua maglia, non t’avrei aiutata ad alzarti da terra. Perché t’eri rotta, c’erano troppi pensieri che ti premevano in testa e non la facevano collegare alle gambe.
T’avrei genuinamente e sportivamente odiata. Come si può solo quando sei sfinito dallo sforzo ma sembra che non stai ottenendo nulla. Non t’avrei perdonata, mai. Non in questa notte almeno. È un posto solitario quello in cui siedono quelli che sbagliano. Deve esserlo.
Un albergo uguale a tanti altri, con luci vecchie di quindici anni e moquette macchiata. Nel quale la cena diventa troppo silenziosa, troppo frettolosa e senza sorrisi. Con tanta adrenalina ancora a spasso nelle vene e la stanchezza ad offuscare tutto il resto.
Si perde di squadra. Vero. Difficile spiegarselo quando la deviazione nella porta è la tua, quando il tocco che mette davanti nel punteggio gli avversari parte dal tuo piede. La vita anche sportiva è sempre in cerca di un colpevole.
I viaggi a ritroso sono i peggiori, perché non li puoi cambiare ma da quelli puoi spero, imparare. Indossare gli scarpini è un atto di coraggio, quello di provarci, d’esporsi al rischio di fallire, davanti a tutti. Gli stessi che si sentono in dovere d’avere una opinione.
Questo è un tempo che non tornerà mai più. Un tempo finito. Quello di una battaglia persa, che probabilmente non sarà nemmeno l’ultima. Però almeno non sono davvero un tuo compagno di squadra. Non ti sarebbe piaciuto affatto.