Bel film. Millenovecento ottanta quattro. The Natural, con Robert Redford.
Ho collegato la gara due di Taty a quella pellicola. Sebbene le ferite del protagonista del film sanguinassero e quelle della fuoriclasse brasiliana sono emotive.
S’è fatto un gran parlare di arbitri, decisioni, episodi. Quando sei la squadra migliore, come ho già ripetuto troppe volte, l’arbitraggio non conta a meno di veder con il fischietto zampettare sulla linea, Bayron Moreno. L’ultima volta che ho controllato però, era piuttosto impegnato a cercare di seminare la polizia tributaria dell’Ecuador.
Com’è che t’ho scritto oggi: “Per essere il migliore, devi battere il migliore”. Ho anche aggiunto che non l’avrei mai scritto, per mille ragioni ma alla fine nessuna mi sembrava abbastanza importante. Mi hai risposto “che bello vederti”, si anche per me. Le sorprese non mi piacciono molto, alla fine questa però è bella così. Meglio dell’ultima che m’hanno fatto, sicuramente.
Avevo promesso che avrei tifato “per quelli che perdono”, come m’avevi chiesto. Solo che poi hanno vinto ma ho mantenuto la promessa ugualmente.
Hai un viso diverso, come se qualcosa fosse andato fuori posto. Hai indicato il cuore ed è lì vero, che devi sistemare tutto quel dolore. Alla fine non trova mai posto e qualcosa diventa veleno, almeno per me. T’auguro invece di ritrovare il sorriso quello che m’hai regalato anche quando raccontavi dell’espulsione di Lucileia in portoghese e non capivo una ceppa.
Alla fine però non siamo diventai meglio di com’eravamo. Siamo identici, forse peggiori. Lo spazio vuoto degli spalti si è riempito almeno in parte. Il suono però non è cambiato. Il tifo contro qualcuno o qualcosa è più rumoroso del tifo per la propria squadra, sarà che io preferisco il secondo. Sapete quella roba con i cori, i bandieroni e i fumogeni? Ecco, quella.
Ho scattato la polaroid che avevo bucato sette giorni fa. Con i capelli rosa, l’eterno sorriso spagnolo che profuma di yoga, di libri e di una terra che è solo al di là del mare. Grazie Pat per la maglia, è un dono prezioso per la donna che sei a prescindere dai piedi, dalla serie e dagli accidenti della vita.
Debora è felice, Pato abbraccia tutti e forse lo fa così forte che ne rompe anche qualcuno. La festa può iniziare, proseguire e insomma farmi percorrere un tratto d’autostrada che in questa estate che arriva e sembra già voler andare via, è maledetto. Odio le code, ma non quelle ai capelli. Amo la statale perché è piena di bar e alla fine potrei anche fermarmi li, per poi arrivare giusto in tempo per la festa.
01.41, segna l’orologio del PC.
Che ci faccio ancora sveglio? Leggo e scrivo. Leggo di un meraviglioso commento alla partita, quella trasmessa in diretta su Rai Sport. “Il femminile su Rai Sport”, ricordano i papaveri al vento, con troppa fretta e poco acume. Ma i fiori, anche gli oppiacei, sono così. Visionari. Mentre cerco di rivedere, con successo, Spagna e Svezia darsele senza troppa voglia, va meglio con un Argentina – Cile che finisce 1 a 1, però mazzate che nemmeno il calcio fiorentino.
Ciao Bruna, “Boršč” così come suggerimento, già tipo la minestra di barbabietole tanto in voga al di là del Don. Non lo so se è poco femminile non togliere la gamba in un contrasto, ma io che sono probabilmente del sesso sbagliato e non che questo conti qualcosa, entro a gamba tesa: io non so fare il commentatore, ma nemmeno altri a cui danno il microfono.
Se proprio uno ha questa passione, c’è sempre il Karaoke.
Sarà che odio gli spifferi freddi che passano da porte che sono lì quasi per finta, sarà che odio le risposte scontate, gli stereotipi, i pensieri sempre uguali, le espressioni ritrite, i tabellini, la retorica del squadra e famiglia. Perché nascondono solo una mancanza di contenuto. Ragazze vi chiedo, sicure di non essere parte anche voi di questo gioco delle parti?
Quello che poi porta molti, a raccontarvi così, con palese sciatteria.
A voi tocca esprimervi sul campo, solo all’apparenza. E’ solo la parte più espressiva di una attività più complessa, articolata. Sulla superficie di questo sport, galleggiano da sempre una marea di comunicati stampa tutti uguali, sicuri che non sia anche colpa nostra? Se ci nascondiamo in un neo doroteismo che vuol fare tutti felici, non facciamo felice nessuno e forse danneggiamo questo sport.
Avete delle storie così belle da raccontare. Anche quelle che sussurrate con una voce appena udibile, quelle che temete non siano interessanti, quelle troppo private, quelle troppo tristi. Se non vi conosco, se non so davvero chi siete, perché dovrebbe importarmi così tanto di voi?
Arriva il gatto che segue con lo sguardo le parole che compaiono sullo schermo. Alla fine la somma di queste lettere, lascia cicatrici profonde e quelle ferite sono stanco di medicarle. Le parole non dette restano il vero male, l’inganno profondo con il quale ci illudiamo che tutto vada bene, che un giorno andrà come per magia tutto a posto.
Siamo solo di passaggio, in questa vita, in quella degli altri e in questo sport. Per il silenzio non c’è tempo.
Se preferite però, chiedere “quanto manca” e “chi ha segnato”, va bene così. La partita è finita, hanno segnato, aspetta che guardo il cartellino sul sito della divisione calcio a 5. Xhaxho e tre Dal’Maz. 3 a 1 il risultato finale. Può essere che interessa al pizzicagnolo di Voghera, vai a sapere.
Alla fine sono quasi le tre del mattino, la maestra ha approvato il pezzo, è un po’ anziana ma nell’animo credo. Le ho dovuto mandare una email, non ha nemmeno Telegram. Davvero, non ho osato nominare Signal. Dovrebbe avere un telefono ma il numero, quello è una roba sua che poi boh. Mentre leggeva, io facevo la stessa cosa con una intervista a Cristian Longhi, che se non sapete chi è, studiate. Aiutino, ha a che fare con lo snowboard e lo skateboard e anche il football americano.
Buonanotte, che c’è chi domani ha delle robe burocratiche di scuola e pare rischi l’autocombustione spontanea. Io dove alzarmi tra 4 ore, la Bolivia vince uno a zero, tanto vale che scopro come va a finire.
Au revoir.