Il presente non è dell’Italia

Passata la notte magica, ci siamo asciugati le lacrime. Quelli più distratti hanno avuto sette anni per farlo. In un futsal femminile, costretto a percepire la normalità come eccezionale potrebbe sembrare ingiusto, chiedere o addirittura pretendere qualcosa.

Non c’è sport, disciplina e perfino pugna morale, però che non si intraprenda con lo scopo di vincere, perché il compromesso è una sorta di pareggio. È nella natura delle sfide, ma non il suo fine.

Ai giocatori, quanto ai tecnici, pur non dimenticando le peculiarità di genere, viene chiesto di vincere. Il come resta una prerogativa dei protagonisti diretti, il perché è ovvio, il quando non può essere atteso per sempre.

Per impedire che le sconfitte si ripetano è necessario indagarne le ragioni. Al fine di comprenderne la natura e tentare almeno di evitarle o quantomeno, limitarle. Ragioni che esulino dalla narrazione emotiva, la cui componente seppur presente non è nodale.

Inutile nascondere nel futsal italiano, maschile e femminile, l’attuale mancanza di talento indigeno, autoctono. Nonostante i rigurgiti autarchici, che altro non sono che un tentativo di differire al futuro il problema.

Il presente non è dell’Italia, potrebbe esserlo il futuro che non si costruisce semplicemente aggiornando le carte d’identità. Zicky Tè e Irene Cordoba, non sono un accidenti fortunato. Non sono frutto del caso, sono il terminale luminoso d’un progetto.

Talvolta per spiegare un problema è utile affidarsi ai numeri. Neutri, verificabili e possibilmente non generici. Attribuiti a contesti estremamente puntuali. Per non incappare in una banalizzazione concettuale.

Capita così che a leggere i numeri del recentissimo Portogallo – Italia, incontro valido per l’accesso alla Final Four dell’Europeo 2023 femminile si registrino 23 tiri in porta per l’Italia, 18 dei quali generati da un rilancio lungo del portiere. Uno di questi ha portato al gol del momentaneo pareggio delle azzurre.

Oltre venti uscite dal pressing e quaranta difese offensive. L’inabilità di recuperare il pallone lasciato al controllo delle avversarie è probabilmente imputabile ad una distanza del marcatore tale da ledere l’efficacia del movimento. Segnale di una partita a lungo controllata dal Portogallo. Di una difficoltà a creare una costante proposta offensiva per i quattro giocatori di movimento, di volta in volta, schierati dall’Italia.

Se consideriamo come assunto, che ogni giocatore sostituito costituisce un cambio di quartetto, l’Italia ha opposto nel primo tempo dodici combinazioni diverse al Portogallo. Dieci nel secondo tempo, ricorrendo allo stesso quartetto per sole 3 volte.

Il Portogallo ha scelto il sistema dei “plotoni”, ruotando organicamente le giocatrici con il risultato di portare una uguale pressione nelle fasi di possesso e non possesso. Uniformando il recupero funzionale. Le rotazioni individuali sono state limitate a interventi di situazione.

Come vi racconterebbe però Arsene Wenger i numeri vanno analizzati nel contesto nel quale vengono rilevati e in funzione di una soluzione ad un problema. Temo invece che spesso, per un impeto d’amor di patria, non si guardi affatto alle difficoltà e a come risolverle.

Condizioni fisiche, umorali, atmosferiche non hanno alcun rilievo scientifico nell’analisi dei dati. Perché variabili aleatorie indipendenti. È giunto anche il momento di smetterla di mescolare pesci e bulloni.

Un agonista professionista, come nel futsal si ambisce a diventare, è giudicato dai suoi risultati, non dal tentativo di raggiungerli. La qualità dei rapporti umani è importante ma non fondamentale.

I numeri di una partita, fotografano una situazione estremamente precisa. Devono restare confinati quindi a quel momento. Non rappresentano che un campione. Un punto d’accesso per una riflessione più ampia.

I dati numerici favoriscono le domande alle quali i responsabili tecnici devono trovare una risposta.
L’incapacità di concretizzare l’alto volume di occasione offensive, da cosa è generato?
Quali sono le possibili soluzioni? La manovra offensiva monodimensionale è dovuta a una deficienza d’organico o influenzata dall’avversario? L’incapacità di recuperare il pallone a fronte di una pressione è una questione meramente di distanze o è anche una questione di struttura fisica dei giocatori?

Non v’è dubbio che esistano diversi approcci alla soluzione d’un problema. Indipendentemente dal tipo di percorso, si valuta la sua efficacia. Questo presente del futsal italiano riflette una difficoltà sistemica, una incapacità di programmare a lungo termine.

Non c’è abbastanza talento e si confida sull’anagrafe non cimiteriale come pietra filosofale del calcetto a cinque. Si rincorrono slogan invece di progettare, si lanciano proclami invece di operare nel dettaglio profondo di una maglia sfibrata e larga che rappresenta il sistema apicale del futsal italiano.

Con un presente così, difficile immaginare un futuro diverso. Se ci sono però riusciti gli spagnoli, i portoghesi ma anche i vietnamiti; cosa impedisce all’Italia d’essere rilevante nel futsal?

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