Caffè Corretto – La Retorica del Cuore

Palazzetti con il pubblico e spalti senza teloni, popolati di grida e urla, di qualche bandiera e di qualche striscione. Sul campo ci sono donne che sacrificano tanto a questa disciplina, sui gradoni altre donne che sacrificano troppo.

Dopo una stagione in castigo dorato a Salsomaggiore, il futsal torna dove c’è il suo pubblico. Alzo lo sguardo verso una tribuna gremita, sulla quale mancano solo gli ultras.

In diretta su Sky, grazie a Dazn. Dai microfoni del canale tematico di Rupert Murdoch è possibile finalmente ascoltare la sobria competenza del color commentator che accompagna Matteo Santi. Con la voce di Antonio Cassano: “chepau” a Sergio Romano.

Si liberà così il futsal dalla stucchevole retorica dei buoni sentimenti, almeno per una sera. Continuerà altrove, per alcuni. Attribuiranno la rimonta del Pescara, sotto di due reti, ad una questione di cuore.

Incapaci, evidentemente, di raccontare quello che accade sul campo. Una partita tenuta in piedi dalle abilità tecniche di Sestari. Dalla tenuta mentale di una squadra capace di attaccare la precaria fase difensiva delle avversarie.

Da un Francavilla vicino ad uccidere la partita, senza riuscire mai davvero a farlo. La rimonta, i crampi, l’intensità. Lo scontro fisico e le avversarie scaraventate in terra senza troppi complimenti.

Brain and Talent. Questi sono gli elementi, che compongono un giocatore. Non mi risulta che un muscolo striato ma involontario come il cuore, sia in grado di coordinare una attività psico motoria.

Derubricare tutto, declassificarlo, attribuire una prestazione sportiva al “cuore”, sminuisce le abilità delle atlete, ridicolizza la disciplina. La svilisce al punto di renderla irrilevante.

Riduce la partita ad un esercizio di cardio fitness. Come quando vi danno un dolce e l’accompagnano con la frase “l’ho fatto con il cuore”. Sapete già che farà schifo, che sarà edibile come uno scarto di produzione del pellame.

Forse è solo manifesta incapacità narrativa. Perché su quel campo si sono dipanate mille storie. Quelle di maglie scambiate, di notti piene di pensieri e fantasmi. Quelle di parole gettate via come se non fossero importanti, davvero.

C’è una storia fatta di troppe cicatrici sulle gambe, qualcuna sui ricordi, altre sul futuro. Puoi amare un giocatore solo per la sua abilità tecnica solo se non ti hanno mai raccontato di quello che hanno sacrificato, per arrivare fino a li.

Le birre a fine partita, quelle che sono grandi qui ma piccole altrove. Una questione di prospettive. Quella che per asciugarsi i capelli, impiega lo stesso tempo che in Space X impiegano a riassemblare un razzo.

C’è chi deve ripartire in fretta, troppo in fretta. Quelli che restano, perché il futsal al femminile mantiene ancora quell’aurea di happening. Un momento per ritrovarsi, come una tribù.

Così la sera s’allunga dentro alla notte. Il telefono squilla: “tutto bene?” perché dovevo già essere altrove ma di quell’altrove mi sono dimenticato. Gli abbracci, i saluti e il sipario cala sul silenzio di un palazzetto ormai vuoto.

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