Carrasco e Rafael Freire

C’è un istante della partita, capace di raccontare l’intero torneo. Siamo nella seconda metà della finale dell’Europeo di Futsal Under 19. Carrasco con indosso la maglia numero 11 della Spagna prende palla, defilato sulla destra.

Avanza fino al limite dell’area avversaria. Arriva a contrastarlo Rafael Freire, il “mio uomo”. Maglia numero sei del Portogallo. Un centrale difensivo fatto e finito, un uomo con l’anagrafe di un teenager.

Carrasco sposta il pallone e finge di andare a sinistra, poi rientra sul destro e calcia in porta, fuori. Un movimento così rapido da “mandare al bar” Rafael.

Il centrale portoghese è così disorientato che ci impiega un po’ a trovare il modo di tornare in campo. Carrasco, continua a mietere vittime con il suo caracollare sul campo.

Carrasco non è Erik Lamela. Ha abbastanza talento però per emergere, in quel contesto. Non perché compete, il semplice atto di scendere in campo e misurarsi con un avversario non ti rende migliore.

Se il numero undici della Spagna fosse un giocatore mediocre, il numero di partite che gioca non lo renderebbero un fenomeno. Sarebbe solo un giocatore mediocre con troppi minuti sul curriculum.

Guardando però Carrasco giocare, mi chiedo perché nessuna squadra italiana investa in un giovane spagnolo di talento, invece di gettare quasi un centinaio di migliaia di euro in un elefante moribondo?

Forse perché Carrasco se mai dovesse scegliere tra El Pozo Murcia, il Barcellona o l’Inter Movistar non valuterebbe mai l’offerta di un presidente che non vuole che nell’accordo economico sia presente la voce: premi. Per non parlare dell’ostracismo verso la voce: “vitto e alloggio”.

Perché Carrasco dovrebbe rinunciare ad un possibile contratto da professionista nella Liga spagnola per venire a giocare nella Serie A italiana di futsal. Per un contratto da dilettanti, con garanzie minimali in palazzetti semivuoti.

Ora che la riforma Bergamini ha trasformato il sesto non formato da potenziale giocatore in distinta a sicuro posto in tribuna, certo non c’è posto per un giovane giocatore di talento ma senza il giusto passaporto.

Impossibile far crescere il talento lasciandolo appollaiato sugli spalti, quando ci sono. Continueremo così a veder crescere il talento ma degli altri, mentre in troppi s’arrampicano a cercare soluzioni a problemi per i quali nessuno, ha chiesto loro un parere.

Perché il problema di quanto sia rilevante questo futsal italiano è una questione in carico a coloro che sono stati eletti per dirigere il futsal italiano. Tocca a loro trovare una soluzione, quella che ritengono possa essere la migliore. Per ora è: la “riforma Bergamini”.

Quando si pensa di avere una soluzione, si compete in una tornata elettorale e ci si siede in una comoda poltrona federale, per prendere decisioni. Funziona così in democrazia, anche quella traballante dello sport. Anche se non lo scrivi nel programma elettorale.

A guardare il futsal italiano da Jaen, si ha la stessa impressione da spettatore interessato, che si ha guardando il calcio italiano, a livello di competizioni per nazionali. Non c’è abbastanza talento. Per le più svariate ragioni ma nessuno sembra disposto a prendere pubblicamente posizione, sulla questione.

Non è facile ammettere: “non sono all’altezza”, resta però l’unica scelta di coscienza possibile, se si vuole essere quanto meno decenti. Forse però della decenza s’è persa traccia, nel calcetto a cinque, già da tempo.

Nota a margine.
Quello che scrivo e racconto, non è che uno sguardo diverso sulla realtà. Teso a carpirne le sottili e intriganti manifestazioni, utile a concedere prospettive diverse a fatti e soggetti spesso cristallizzati e immobili nella loro descrizione pubblica.
It’s gonzo journalism.

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