La chimera del futsal italiano

Una chimera è creatura leggendaria. In biologia è un animale che ha una o più popolazioni di cellule differenti.
Che c’entra con il futsal, tutto. Dovrete però avere la pazienza di continuare a leggere. Fino in fondo.

L’Italia maschile di futsal, fallisce l’obiettivo quarti che si era prefissa in uno slancio di autolesionismo. Si manifesta un problema che ha radici nel passato, uno di cui molti sono correi, ma fingono di dimenticarlo.

Nello sport, qualsiasi sport, il fallimento genera sempre un grido: PROTEZIONISMO. Si inneggia all’abolizione di norme, in essere anche in progetti e programmi di successo, come quello lusitano.

Viviamo in un contesto sociale, profondamente diverso, anche solo da quello di due anni or sono. Abbiamo l’obbligo di guardare oltre, senza temere che idee migliori delle nostre ci sviliscano, umanamente.

È necessario comprendere, per offrire una soluzione. Analizzare senza condizioni aprioristiche, con la ferocia necessaria a confessarsi anche d’aver fallito.

Inutile cercare vecchie ricette, restano solo e semplicemente vecchie. Il protezionismo ha fallito negli anni trenta con l’alcool negli stati uniti, figuratevi un secolo dopo.

I modelli, virtuosi li troviamo anche nel nostro bel paese, sono il seme che fa germogliare i fiori di strada, quelli più belli. Occorre scavare, nella miriade di realtà che inseguono la gloria effimera.

Settore Giovanile. Evoco, il nome dell’animale mitologico, al quale tutti sembrano adesso inneggiare. In verità molto lo temono. Come un Araba Fenice.

Invocato da quelli che credono basti reclutare semplicemente dei ragazzini. Per essere autosufficienti. Senza prendere in considerazione un processo, doloroso, in termini emotivi, per via degli inevitabili fallimenti. Di denaro, per un investimento che nei primi anni, è clamorosamente in perdita. Anche umana.

Prigionieri di una autoreferenzialità, di una faciloneria ai limiti dell’ignoranza colpevole. Spesso accade di veder sventolare concetti confusi, di confondere anche nei contesti giovanili, il successo con la gloria.

Non bisogna dimenticare che il futsal è l’evoluzione di un passatempo tra partite di tennis, nei circoli romani. Nel tempo ha perso la sua identità legata ai piccoli centri, a quelli particolarmente attivi, ha smesso di legarsi, anche ai singoli quartieri.

Occorre raccontare anche quello che non è piacevole ascoltare. Parlare di un futsal che pensa di essere migliore di quello che è, pensa di poter dare lezioni senza apprenderne alcuna.

Macerata, Cernusco, Civitanova, Ravenna. Dove altri sport proliferano nella provincia, il calcetto fallisce, ripetutamente. Questo semplice, inconfutabile dato, dovrebbe generare dubbi, indurre una riflessione che coinvolga la responsabilità personale.

Una disciplina che difetta di pazienza. Una dirigenza impegnata a rincorrere il tempo, alla ricerca della vittoria facile. In due o tre anni, queste condizioni genereranno ancora una Luparense, una Marca, un Pescara, una Ternana, una Salinis e allora?

Racconterete ancora di quella chimera. Dimentichi in mala fede del fatto che, i settori giovanili, costano. Sacrificio. Come quando recluti tre soli bambini, il primo anno. Non pagano dividendi in tempi brevi. Costano tempo. In attesa che passino almeno 10 anni, per avere forse un giocatore pronto.

Pensate davvero che Zicky sia nato già ventenne?
Non è dalla regola che nasce un bisogno, ma dalla necessità. Li abbiamo avuti anche nel futsal i nostri piccoli Zicky. Azzoni e Tenderini, ad esempio oppure Biscossi.

Arrivano da luoghi molto simili. Qualcuno ha mai chiesto, come hanno fatto a crearli? No, vero.
L’ho fatto io, spinto dalla curiosità, dal desiderio di conoscere. Anche per quelli troppo impegnati a parlare senza ascoltare, a spiegare ragioni senza comprendere quelle degli altri.

Loro, sono gli eroi in questa storia, ce ne sono in tutte quelle che si rispettano. Alcuni non si conoscono tra loro, altri si sono persi tra le svolte della vita che nascondo il presente anche degli amici d’un tempo.

Alcuni di questi indossano l’arancione, altri il giallonero. Eroi di un passato con l’impronta degli schiaffi sportivi, anche dolorosi, sul viso. Sono quelli che Investono il loro tempo in un futuro, che non vedono ma immaginano. Un futuro che oggi è un presente, con tanto di sponsor Nike sulle divise.

La vera Nike, che se legge certi numeri, trova anche un profitto. Non una gloria presa a prestito, lucidata da un riflettore e raccontata come un gran galà.

Hanno scelto d’investire su loro stessi, sulla crescita dei tecnici prima che sui titoli sportivi. Perché educare, prima di tecnica e tattica, s’imprime nelle persone, i trofei al massimo invece, anneriscono in uno sgabuzzino.

Arrivano anche da lontano questi eroi, hanno poi scelto d’amare l’Italia come noi che ci siamo nati. Ci raccontano di un mondo, al di là del mare, nel quale a 18 anni se non sei in prima squadra, allora non sei un calciatore.

Se abbracci questa filosofia, non ti meravigli poi, quando gli argentini alzano due Coppa America, in faccia al Brasile. Non è questione di dove sei nato, ma di come t’aiutano a crescere.

Ci sono anche quelli che lavorano alle regole, alle norme, non per aggirarle ma per aggiornarle. Perché la vera sfida che attende il futsal è creare una base per questo movimento. Nonostante quelli, che raccontano di progetti, senza mai applicarli.

È necessario, attuare una rivoluzione che sia culturale, nella quale molti potrebbero non riconoscersi e allora grazie, per aver partecipato e ciao.

In un mondo sportivo, prigioniero del consenso, le scelte impopolari non sono possibili. Nemmeno al costo di un solo mandato.

Davvero è un proposito credibile quello d’investire nei settori giovanili, dopo aver lasciato che le dirigenze popolassero la disciplina di squadre invece che di società?

Trasformare le squadre, in società è la vera sfida. Difficile, dolorosa, perché passa anche attraverso l’ammissione delle colpe. Smettere di fingere di non vedere, il dirigente in panchina per far rispettare una norma.

Non basta una imposizione, a cambiare un futsal pieno di squadre a caccia di medaglie, coppe di plastica e quella gloria così facile da comprare che poi alla fine, diventa noiosa.

Per ogni cacciatore di paccottiglia luccicosa, ci devono essere dei costruttori. Disposti a creare, crescere e curare il prodotto che poi altri venderanno al miglior offerente.

Quando l’artefice del progetto portoghese, parlava in quel di Bari, in occasione delle Final Eight di Coppa Italia, di quello che ora viene additato come possibile soluzione, perché è stato ignorato?

Questo è il momento per guardarsi allo specchio, trovarsi mancanti, piccoli e insignificanti e costruire per tornare a competere. Raccogliendo intorno ad una cultura, gli uomini migliori. Quelli che non hanno responsabilità sullo scempio del passato e nell’orrido presente.

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