Ucraina – Russia.
Il De Telegraaf, un Corriere della Sera ma olandese, raccontava di una vigilia politicamente complessa. Ambasciatori coinvolti, addetti militari delle ambasciate che si preoccupano della sicurezza delle loro delegazioni sportive.
Non è mai solo sport, quelli che lo pensano appartengono ad una generazione d’avidi lettori di Cioè, di quelli impegnati a rispondere al sondaggio: “qual è il tuo colore più preferito”. In allegato una fantastica sorpresa per colorare la tua vita.
Dai boicottaggi alle olimpiadi, agli atleti espulsi perché indesiderati, lo sport è sempre stato indissolubilmente un’arma politica. L’ignoranza non vi scusa dall’aver dimenticato che proprio il podio della manifestazione a cinque cerchi è il più politico dei piedistalli.
Il nemico alle porte, recitava il titolo della biografia di Vassili Zaitsev. Raccontava così la sua esperienza nella battaglia di Stalingrado durante la Seconda Guerra Mondiale. Questo è il mio titolo per questa partita. Suona oscuro, ne sono consapevole.
In campo lo scontro è duro, come se ci fosse qualcosa in più in palio, d’un posto nella finale del Europeo di Futsal 2022. Passano solo nove minuti sul cronometro e gli ucraini hanno già commesso quattro falli.
Le dichiarazioni della vigilia, sono già state dimenticate. Non può essere una partita come tutte le altre. La UEFA ha in essere un regolamento, che impedisce a queste due nazionali di trovarsi nello stesso girone di qualificazione di qualsiasi competizione.
Perché fingere che sia solo una partita? Non lo è, normalmente, figuratevi quando siete in campo con nella testa il dubbio che questa possa essere non sono una chiamata del destino ma anche alle armi.
I russi sono i favoriti, lo sanno e impongono presto il loro ritmo. Quello tipico delle competizioni europee, che sto cercando di consumare avidamente. Per comprenderlo meglio, questo futsal, per distinguere i suoi protagonisti.
Lo speaker richiama la folta tifoseria ucraina sugli spalti, sotto di due reti, loro alzano il volume del vocale alla squadra.
Time out per il CT ucraino. La sua indicazione è ferma e risoluta: “se non tirate in porta non potete fare gol”.
Al rientro i figli di Kiev tentano la carta del portiere di movimento, che in inglese suona proprio “portiere volante”, note di quando ero bambino e giocavo sui campetti d’asfalto, di breccia e di qualsiasi materiale tossico compreso l’asbesto.
Vengono però puniti dal raddoppio russo. La partita sembra indirizzata. L’orso moscovita però si distrae impegnato a festeggiare quella che pensa sia la rete che chiude l’incontro. Pareggia l’Ucraina, il palazzetto semivuoto per le norme Covid, diventa una bolgia e ora nelle mie cuffie risuona fragoroso il canto: “Ucraina, Ucraina”. La cadenza del coro è quasi ipnotica.
Quanto è diverso questo futsal, da quello che posso osservare in Italia. Panchine sempre in piedi, tackle affondati, scontro fisico costante, palla giocata sempre in verticale. Ogni duello è ingaggiato come se fosse quello decisivo. Arriva poi il gol da cineteca, quello in mezza rovesciata di Niyazov. Se proprio devi subire un gol che potrebbe escluderti dalla finale, almeno che sia un gol di straordinaria fattura.
Tre a uno, per la Russia. Qualcuno s’è dimenticato d’avvertire i giocatori dell’Ucraina che la partita è finita. Perché questi non solo accorciano le distanze, approfittando di una deviazione sottomisura del loro pivot, lasciato colpevolmente solo in mezzo all’area. Riescono anche a sbagliare il rigore che li avrebbe potuti portare ai supplementari.
Lo sparacchia sul portiere avversario, Shoturma. Probabilmente il giocatore più talentuoso, il capitano dell’Ucraina. Sembra davvero finita. Quando però, il cronometro segna tre secondi alla fine, sul piattone di Lebid capita l’occasione della vita, una palla da accompagnare in porta. Fermo sul palo, il giocatore dell’Ucraina devia fuori il più classico delle chiusure sul secondo palo.
Finisce così. Russia in finale, come in molti pronostici della vigilia. La Ziggo Dome di Amsterdam risuona però del grido: “Ucraina, Ucraina” a lungo dopo quel fischio dell’arbitro italiano Nicola Manzione.