Sette titoli

Il Burela femminile ha da pochissimo festeggiato il suo settimo titolo nazionale. Sembrano pochi se uno pensa ai 34 campionati, 19 Coppe di Spagna, una Coppa della Liga, 12 Supercoppe di Spagna e una Coppa Duarte del Real Madrid. Nel futsal al femminile visto dall’italico stivale la pletora di titoli vinti in un comune di 9566 abitanti è uno di quei risultati che sorprende per la longevità del club.

In Italia non si vincono sette titoli, perché molte delle squadre non sopravvivono così a lungo. Il Veni Vidi Vinci che Plutarco attribuiva a Giulio Cesare resta il mantra di qualsiasi avventura nel calcetto femminile. Ci si aggrappa ai titoli, si spende e si spande per ottenere una rilevanza che non rimbalza fuori dal proprio territorio quando si è fortunati.

Nel giro di qualche anno in Italia ai titoli seguono gli impegni non onorati, quelli onorati perché costretti e quelli dilapidati nel tempo. Ogni italica estate del calcio a 5 tanto al maschile quanto al femminile più che dalle prospettive future è occupata dalla conta delle squadre che chiudono, scompaiono, si fondono e cambiano denominazione.

Il Burela, così come Atlético Navalcarnero, Melilla, Poio, Alcorcón, Roldán, Móstoles sono lì da sempre e per sempre intendo un periodo che in Italia può apparire geologico. Perfino due delle squadre retrocesse quest’anno Majadahonda e Leganés sono società con una storia.

Negli ultimi dodici stagioni di futsal femminile in Spagna, sapete quanti vincitori del titolo nazionale hanno chiuso i battenti? Zero, 0, nessuno. Sapete a che anno bisogna risalire per trovare un club di futsal femminile che ha vinto il titolo di prima divisione che non esiste più? Al 1995. Sal Lence Coruña, fondato nel 1984 inizia il suo declino nel 1999 quando la sua parabola discendente lo relega alle serie regionali fino a fondersi nel 2005 con il Viajes Amarelle FSF e perdere la sua denominazione.

Millenovecentoottantaquattro. La storia non s’inventa, si narra. Non si autocelebra. Volete un elenco approssimativo delle squadre scomparse dal 2011 ad oggi in Italia? Approssimativo perché è tristemente in continua evoluzione:

Salinis, Trinakria, Ita Salandra, Isolotto, Bisceglie Femminile, Arcadia Bisceglie, Locri, Breganze, Olimpus, Az Gold, Cus Palermo, Pro Reggina, Jordan, Lupe, Lazio Femminile (Acquedotto). Sinnai, Futsal Football Cagliari.

Elenco volutamente incompleto e sicuramente destinato ad ampliarsi. Qual è la preoccupazione dei presidenti in Italia? La finta champions. Giova ricordare ai lettori meno attenti che qualche stagione or sono se ne giocarono addirittura due, con denominazioni diverse. V’immaginate Florentino Perez dichiarare che l’obiettivo per la prossima stagione è il trofeo Gamper?, che così per la precisione esiste dal 1966.

Situazione che non migliora al maschile. Molte squadre semplicemente non riescono a reggere i costi. Ha ragione Serafino Perugino, patron e presidenti del Napoli Futsal: i presidenti del futsal sono eroi. Non so quanto ci sia davvero di eroico nell’investire certe cifre nel futsal italiano ma sicuramente c’è dell’epica. Un Serie A maschile che s’è ritrovata gerontologicamente confinata ai margini del futsal continentale.

Al maschile si esiste una UEFA Futsal Champions League. Non si tratta solo di una competizione di alto livello tecnico, ma altamente probante anche a livello economico. L’investimento necessario per competere a quel livello a costretto ad esempio il Barcellona a dichiarare che in questo difficile momento economico per il club il non partecipare alla prossima UEFA Futsal Champions League permetterà loro di sistemare i conti disastrati.

Benfica e Sporting in misura diversa stanno cercando di ottenere investimenti nella loro disciplina. Parliamo di polisportive da centinaia di milioni di euro. Se rivolgiamo lo sguardo ad est, verso i campi di gas e petrolio, verso le miniere di terre rare e depositi d’armi poco protetti e passaporti facili, la competizione diventa anche piuttosto opaca.

Se il futsal italiano è un momento di socialità, allora non importa davvero essere agonisticamente competitivi, finanziariamente sostenibili e soprattutto non importa essere longevi. È sufficiente intrattenere qualche migliaio di persone una manciata di volte l’anno.

Nell’eventualità che il calcio a 5 italiano voglia davvero diventare futsal, non può prescindere dal business, dal denaro, dai numeri e dal prendere coscienza che riempire due palazzetti tre volte l’anno riesce anche alle bocce. Continuare a proiettare una grandeur che non ha nessun riscontro con la realtà danneggia la disciplina più dello spettacolo di ottuagenari sul campo.

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