Spettatori e Tifosi

Un movimento sportivo è rilevante in un rapporto direttamente proporzionale al suo seguito di pubblico. Questo inalienabile principio fondante, è alla base di qualsiasi percorso dialettico, che s’avventuri nell’analizzare il rapporto tra arena agonistica e pubblico sugli spalti.

Pubblico è una indicazione generica, indica una comunità intesa come totalità sociale. Cinema, teatro, competizione sportiva, musica. Tutte hanno un potenziale bacino di individui interessati all’evento. Ad elevare la rilevanza di uno spettacolo è la sua fan base.

Quel gruppo ristretto di appassionati, che diventano devoti e s’aggregano in una tribù. Diventano tifosi. Non importa se si tratta di un gruppo di K-Pop, di Uomini e Donne, di musica indie e di Chiara Ferragni. Il meccanismo che li anima è il medesimo. Un fenomeno di massa che tende a verificarsi più spesso nel calcio.

Il tifoso (fan) del calcio rappresenta l’archetipo elementare. Disposto a guardare uno spettacolo anche se è pessimo. Pronto a pagare per sentirsi insoddisfatto, per la semplice e pura emozione che il disagio genera e che può sfogare con rabbia e frustrazione. Dall’agosto del 1989, data di pubblicazione del Rapporto Taylor, la struttura economica che aveva generato e promosso una estrema polarizzazione dei sentimenti sugli spalti, è stata costretta a mutare.

In un processo durato quasi trent’anni, tutt’ora in corso, si è mutato il tifoso di calcio, in cliente. Si prova a soppiantare l’approccio tribale, quel sentimento viscerale della tifoseria, con qualcosa di diverso. Il modello a cui s’aspira è composta da un moderato fruitore dello spettacolo, disposto a spendere più denaro per avere accesso. A fronte di benefit che il tifoso ritiene del tutto superflui. L’ampio spettro di servizi di ospitalità, in precedenza del tutto assenti, costituiscono la pietra angolare di questa trasformazione.

Lo spettatore, spende cifre maggiori in servizi e merchandise, non costituisce un problema di ordine pubblico. Una ideale condizione di vendita, capace di generare alti ricavi. Prova a stravolgere però l’assioma “Panem et circenses”.

Interrompere quel flusso grezzo e a volte violento di emozioni che dagli spalti arriva al campo e che dal terreno di gioco rimbalza indietro, compromette la natura essenziale del successo non solo del calcio, di qualsiasi sport.

Il tifoso è l’elemento fondante di una passione per il calcio che altrimenti, semplicemente, non esisterebbe. Prendo a prestito le parole di Nick Hornby: 

Sono andato a vedere troppe partite, ho speso troppi soldi, mi sono incazzato per l’Arsenal quando avrei dovuto incazzarmi per altre cose, ho preteso troppo dalla gente che amo… Okay, va bene tutto! Ma… non lo so, forse è qualcosa che non puoi capire se non ci sei dentro.

Come fai a capire quando mancano tre minuti alla fine e stai due a uno in una semifinale e ti guardi intorno e vedi tutte quelle facce, migliaia di facce stravolte, tirate per la paura, la speranza, la tensione, tutti completamente persi senza nient’altro nella testa… E poi il fischio dell’arbitro e tutti che impazziscono e in quei minuti che seguono tu sei al centro del mondo, e il fatto che per te è così importante, che il casino che hai fatto è stato un momento cruciale in tutto questo rende la cosa speciale, perché sei stato decisivo come e quanto i giocatori, e se tu non ci fossi stato a chi fregherebbe niente del calcio?

“Se tu non ci fossi stato a chi fregherebbe niente del calcio?”

Ricordate le partite durante il lockdown? Il silenzio degli stadi, dei palazzetti, delle arene. Comprendo appieno i motivi che spingono a tentare d’assimilare l’esperienza dal vivo a quella televisiva. Quello che rende unica però l’esperienza dal vivo e che quindi amplifica quella da remoto, è il tifo. I cori, fumogeni, tamburi, sciarpate, bandieroni, striscioni. L’intero pacchetto.

Elementi, quasi del tutto assenti nel futsal. Se s’escludono rare eccezioni, si è scelto nel calcio a cinque spesso, di corteggiare lo spettatore. Il tifoso, quello delle coreografie, quello che ti mette anche pressione quando giochi male, è una specie rarissima nel panorama particolare di questo sport.

L’esperienza della Ternana Femminile, come catalizzatore di tifosi, rappresenta un caso da studiare. Perché si tratta di una squadra femminile, di un contesto cittadino molto attento alle vicende sportive. Proprio quell’esperienza sportiva, fino al suo triste epilogo, dovrebbe generare una riflessione intorno alla questione. Perché il tifoso è da preferire allo spettatore?

Lo spettatore, non seguirà mai una squadra che perde. Non ha interesse ad investire, anche semplicemente il suo tempo, in uno spettacolo di scarsa qualità, emozionalmente dannoso. Allo stesso modo, sarà più incline a non seguire una squadra vincente se non negli incontri di cartello. Quelli appunto capaci d’offrire una sufficiente aspettativa emozionale.

Al futsal italiano manca in questo momento, questo indispensabile volano. Una tifoseria, diffusa su più piazze. Capace di generare un suono all’immagine. Potenzialmente parte integrante di quel colore necessario a generare empatia, partecipazione.

Si può scegliere sempre il brusio degli spettatori, il rumore delle vuvuzela e di quegli aggeggi malefici che risuonano negli stati dell’asia. Continuo personalmente a preferire, la coloratissima curva del San Lorenzo. Quella che canta all’unisono un coro non proprio per educande. Saltando su quegli spalti la curva trema, letteralmente. 

” Ma… non lo so, forse è qualcosa che non puoi capire se non ci sei dentro.”

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