La scherma vista da Sara Cometti in vista di Parigi 2024

La partecipazione all’Olimpiade è il sogno di qualsiasi sportivo professionista. La medaglia il coronamento di anni di sacrifici costituiti da allenamenti intensi già a partire dall’età giovanile. Ma il percorso è costellato da molteplici fattori, molti dei quali addirittura esterni alla volontà e/o capacità del singolo atleta.

Ciò che mi colpisce sono le storie di atleti che, pur facendo parte di una squadra vincitrice di medaglia, non hanno avuto il diritto di appendersela al collo “solo” perché atleti di “riserva”. Come se il loro valore sportivo fosse minore di quello dei compagni di squadra titolari. Oppure le storie, altrettanto drammatiche, di chi, pur essendo ai vertici dei cosiddetti ranking del proprio sport/specialità, per un beffardo meccanismo di regole, non ha diritto a qualificarsi alla gara più importante della vita.

È successo recentemente all’atleta greca Despina Georgiadou, sciabolatrice ellenica, 5^ del ranking mondiale ma connazionale di Theodora Gkountoura, n. 3 al mondo. Quest’ultima qualificata di diritto a Parigi 2024. Despina, invece, “vittima” di un regolamento che prevede che non si possa qualificare un atleta dello stesso Paese della stessa zona (Europa) alla gara individuale se non è qualificata anche la squadra. Con un post su Instagram, diventato ormai il canale social comunicativo per eccellenza di personaggi dello sport e del mondo dello spettacolo, Despina ha portato all’attenzione degli addetti a lavori quanto accaduto. Episodi, questi, che possono avere un duplice risvolto, cioè costituire una spinta motivazionale in più oppure diventare una ragione per abbandonare un’intera carriera sportiva.

E’ questa la riflessione che mi condivide Sara Cometti, ex spadista della nazionale femminile italiana ed ora affermata giornalista di SkySport. La lamentela della Georgiadou appare un po’ pretestuosa, dice Sara. In fondo non è il primo caso nella scherma, basti pensare all’esclusione del fioretto femminile italiano a Rio 2016 per un beffardo meccanismo di rotazione. Eppure il clamore non fu così elevato nonostante tutte le componenti del “dream team” fossero le stesse ragazze che avevano realizzato la storica tripletta di Londra 2012 con un podio tutto italiano. Insomma, per dare valore a certe “polemiche” bisognerebbe che le stesse fossero sollevate nei momenti più opportuni. Magari ad inizio stagione o del percorso di qualificazione olimpica e non di certo a pochi mesi dall’inizio dei giochi.

La scherma, continua Sara che conosce bene questo sport sia in veste di atleta, sia come giornalista, deve fare i conti con la mancanza di popolarità. Pertanto, le Olimpiadi restano l’unico vero palcoscenico dove acquistare visibilità per poi alimentare un intero sistema. La direzione intrapresa ormai da diversi anni dai dirigenti internazionali è stata di puntare ad allargare il più possibile la diffusione di questo sport (e dunque la partecipazione ai Giochi) anche ad altri Paesi dove la scherma non ha storicamente tradizione. Creando, di contro, più di qualche mal di pancia come il sistema delle qualificazioni. Davvero difficile prendere le parti dell’una o dell’altra corrente di pensiero.

Se poi a dirlo è chi ad Atlanta 1996, riserva della squadra di spada, fu privata della medaglia olimpica perché mai scesa in pedana c’è da crederci. Sara Cometti era pronta tanto quanto le sue compagne di squadre (Chiesa, Uga e Zalaffi) a tirare anche un solo assalto. Ma l’ingresso della riserva era possibile solo in caso di acclarato infortunio di una delle titolari. Quello che successe a Francesca Bortolozzi, nel fioretto, che subentrò di diritto a Diana Bianchedi infortunatasi alla gara individuale e portata via in braccio dall’allora CT Magro.

Quest’anno l’Italia ha qualificato a Parigi 2024 tutte e 6 le squadre della scherma. Da spettatore sembra un risultato scontato, soprattutto per chi sa che la scherma da sempre è fioriera di medaglie ai giochi olimpici. Ma Sara ci aiuta a guardare le cose da una prospettiva diversa, forse più completa. Innanzi tutto la preparazione per Parigi si è basata su un cammino di 3 anni e non i consueti 4. Questo nella considerazione che Tokyo si è disputata nel 2021 ed un anno in meno incide profondamente nella preparazione di un atleta.

Due squadre poi hanno avuto un cammino oggettivamente non facile. Quella di sciabola maschile orfana di Berrè infortunato e con il capitano Samele che inizia ad essere tra i più “vecchi” del circuito. A questa si aggiunge la squadra femminile dove l’andamento è sempre stato costellato da alti e bassi. Senza avere quella costanza di risultati e rendimento che invece caratterizza il fioretto.

Nonostante questo successo “italiano” sono molti i maestri che stanno emigrando tra USA e Paesi degli Emirati Arabi. Esportando la scherma italiana, da sempre eccellenza mondiale per avere, al contempo, dei ritorni economici che in Italia sarebbero impensabili. Il sistema appare molto complesso, chi fa il maestro di scherma in casa nostra è costretto a farlo come secondo lavoro poiché gli stipendi non risultano adeguati, così come le tutele.

Il sistema americano è totalmente diverso, con lezioni individuali a pagamento, con club frequentati da figli di imprenditori e dirigenti affermati, a fare della frequenza della sala di scherma una sorta di status symbol. Addirittura, ci dice Sara, la scherma entra nelle aziende come percorso formativo per i dirigenti. In Italia, invece, il sistema si regge molto sulla Federazione, gli introiti del CONI e le quote che ciascuna famiglia paga alla propria società. Va da sé che non si possano pretendere cifre da capogiro.

Nonostante questo la scherma italiana continua a forgiare atleti di primissimo piano. Arbitri di livello internazionale che niente hanno da invidiare ad un blasonato Collina del calcio, maestri/allenatori alla stregua di un Mourinho o un Ancelotti! E poi la scherma ci consegna anche ex atleti capaci di affermarsi nella società, la lista è davvero lunga. Penso a Gigi Mazzone, ex olimpionico di spada ed ora affermato psichiatra infantile che utilizza la scherma come metodo di sviluppo per i bambini autistici. Valentina Vezzali che è stata sottosegretaria per una legislatura, Margherita Granbassi ora giornalista RAI, Frida Scarpa consigliera comunale a Pisa, Stefano Pantano giornalista sportivo sulla RAI e in Radio ed infine la nostra Sara Cometti che nel 2010 si è lanciata nel mondo del giornalismo sportivo.

Tutto iniziò per caso, racconta, quando “su spinta di mio marito mandai il mio curriculum a Sky che aveva preso le Olimpiadi. Feci un colloquio e fui presa per lavorare sulle Olimpiadi invernali di Vancouver”, insomma un po’ in antitesi con quelle estive su cui si sarebbe sentita più a suo agio. “Giovanni Bruno – continua Sara – allora mi diede fiducia. Durante il colloquio trovammo non pochi interessi in comune: il rugby, l’America’s Cup e la scherma. Sport che aveva iniziato a conoscere meglio anche lui che aveva da poco iscritto la figlia in una palestra di Milano”. Da lì in poi è iniziata una nuova avventura sportiva di Sara.

Fuori ma non lontana dalle pedane. Fino a portare la vercellese ad essere, oggi, caposervizio eventi calcio di Sky Sport e a guidare le produzioni originali firmate Sky Sport, come responsabile editoriale. È lei che ha curato, tra le altre, la serie “Federico Buffa racconta”, “Mister Condò”, “L’Uomo della Domenica” di Giorgio Porrà. Trasmissioni sportive di assoluto successo nel panorama di Sky Sport. Non ci resta che restare incollati alla TV per Parigi 2024, con l’augurio che arrivino altre medaglie dalla scherma.

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