Italo Calvino l’ha resa un opera teatrale seppure d’un solo atto. L’ha messa al centro delle vacanze del suo Marcovaldo ed è da sempre elemento essenziale della narrazione sportiva, anche non solo legata al calcio. Perfino in quella del futsal, sulla quale spesso siedono presidenti-allenatori, allenatori-sponsor, para-allenatori.
In questa galassia così variopinta esistono anche gli allenatori-allenatori. Quelli che in un mondo di professionismo abbozzato e dilettantismo dilagante, si sono ritagliati una carriera, fatta di titoli e riconoscimenti. Non parlo dei premi a ritardo incontrollato ma di quelli come la Panchina d’Oro.
Un prestigioso premio perché assegnato da allenatori ad altri allenatori, al netto di quelli che si votano da soli. Uno dei vincitori multipli di questo premio è Massimiliano Neri. Uno scudetto, due Coppe Italia di fila, due Supercoppe, due panchine d’oro e perfino una para “champions”.
Uno degli allenatori più vincenti nel futsal femminile italiano dell’ultimo decennio. Capace di condurre una corazzata a vincere per la prima volta nel calcio a 5 tricolore una Coppa Italia “back to back”. Universalmente amato dalle sue giocatrici e se pensate che sia facile non vi siete nemmeno mai avvicinati alla porta di uno spogliatoio di una squadra femminile.
In una strana e perversa narrativa l’italico stivale appare popolato da incredibili e capaci allenatori che al massimo hanno collezionato una manciata di partite in A e qualche retrocessione eppure godono d’un credito che non viene riconosciuto a Massimiliano Neri.
Un tecnico quello marchigiano capace di condurre un gruppo d’atlete di altissimo livello, dal ciclopico ego oltre la linea del traguardo. Se pensate che sia facile, che: “con quella squadra avrei vinto anche io”, vi risponderei PSG e Carlo Ancellotti, così in punta di fioretto.
A voler usare la spada potrei annotare i nomi di tutte quelle squadre di campioni dalla Lazio versione acquedotto alla Ternana d’un pala di vittorio stracolmo, che non hanno vinto quanto la squadra condotta da un Neri. Un tecnico che ha anche vissuto gli anni bui delle retrocessioni anche con le partite vinte a tavolino. La vulgata comune non gli riconosce nemmeno questo e dovrebbe.
Massimiliano Neri non è Tino Perez. Ma in un mondo popolato da troppi allenatori che non siederebbero nemmeno sulla panchina della Longobarda, perché Neri non allena oggi, in Serie A? Una di quelle domande la cui risposta sebbene sia nascosta in piena vista richiede una buona quantità d’ascolto. Una risposta che è meglio conoscere prima di porre le domande.
Potrebbe essere che alla fine d’un ciclo ci si saluti, forse non con i tempi giusti, non proprio con sorrisi ed abbracci. Forse il saluto è figlio d’una difficoltà economica a sostenere quegli impegni che poi sono finiti oggetto d’attenzione della Commissione Accordi Economici. Non si dovrebbe però dubitare dei meriti, umani e sportivi di Massimiliano Neri.
Chiunque che anche solo per sbaglio si sia mai seduto nelle vicinanze della sua panchina ne ha sicuramente apprezzato le doti di leadership. La capacità di mantenere la calma nella tempesta non è abilità diffusa, quella di spendere poche parole ma nella giusta direzione lo è ancora meno. Ci si ostina a concentrarsi sull’apparenza invece che guardare alla sostanza. Un tecnico questo, capace di confrontarsi e allenare squadre composte da atlete i cui piedi sembravano tagliati con l’ascia. Uno che non ha mollato nemmeno quando gli veniva chiesto di spremere il sangue dalla rape. Lo stesso allenatore che poi ha mostrato ai parolai della panchina come ci si muove con grazia ed efficacia in uno spogliatoio disseminato di mine emotive.
Marcelo Bielsa “el loco” è celebrato nonostante il suo palmares sia ridotto ad un oro olimpico e un secondo posto in coppa america, entrambi datati 2004. Più clown che allenatore. Il visionario De Zerbi per tornare a tempi più moderni occupa con il suo Brighton il 10 posto della Premier League. Due punti più in alto del vituperato, dalla stampa, Wolverhampton di Jorge Mendes. L’epica della normalità che ci fa sentire meno inadatti e in fondo tutti un po’ falsamente vincenti.
Il futsal italico prende sempre il peggio dal suo cugino maggiore. Resta inchiodato agli anni 70 con i presidenti allenatori, con i presidenti in cerca d’amore dal pueblo, con i falsi profeti in panchina. Accade così che professionisti veri, uomini d’una signorilità d’altri tempi si ritrovino ai margini d’una narrativa che invece li ha visti realmente protagonisti. Una di quelle realtà alternative che fanno comodo e sono di comodo.
Elegante e signorile semplicità, lo stile d’un tecnico che ha segnato, disturbi o meno, un momento della breve storia del calcio a 5 femminile italiano. Massimiliano Neri merita il rispetto ed il riconoscimento dovuto a quelli che vincono, perché vincere non è facile e lo sanno bene quelli attendono ancora che accada.