Le lacrime di Naiara, le parole di Boutimah

C’è un futsal femminile che impernia la sua comunicazione sui “se”, tanto da ergere la controfattualità a sistema.
“Se mia nonna avesse avuto le ruote”. Con un solo detto, d’origine toscana, si possono racchiudere la quasi totalità delle interviste post partita.

In una continua evasione del problema reale, si descrive cosa sarebbe accaduto nel caso di un evento che non si è realizzato. Invece di spiegare perché questo evento non si è verificato. Si elide così il problema, ergendo una realtà ipotetica a fattuale. “Se fosse entrato quel gol”, “se quella palla a centrocampo”.

Mai nessuno, che invece ci spieghi la realtà. Che ci racconti come mai non è entrata quella rete, come mai si sono fatti prendere ripetutamente alle spalle dagli avversari. Invece no. Otteniamo i racconti del fantastico, una Storia Infinita dove su Falcor ci salgono praticamente tutti.

Ogni tanto, però, s’aprono degli spiragli.
La Kick Off è appena uscita sconfitta, di misura, dalla sfida con il Granzette. Naiara è in lacrime. Questi sono gli effetti salutari della sconfitta. Niente abbracci, non ha vinto niente. Il viso di Jessica è solcato dalla lacrime. Il suo messaggio è: “si poteva vincere”. Il suo sforzo, non è bastato. Per spiegare perché quelle lacrime dovrebbero essere una straordinaria normalità, prendo a prestito le parole di Julio Velasco.

“Per le donne, anche un problema di carattere matematico viene affrontato utilizzando una parte della sfera emotiva. Non è solo un problema di lavoro, mai.”

“Quando la donna piange, è come il nostro cazzotto. La donna piange perché ha perso il controllo, non perché è debole. Gli uomini quando sferrano un pugno è perché hanno perso il controllo. Le donne odiano piangere davanti agli uomini, quando lo fanno è perché hanno perso.”

Le lacrime di Jessica, sono l’espressione massima di una ricchezza solo femminile. Che molte donne spesso eludono, che molto uomini ignorano. La forza delle donne nel raccogliere le sfide, non è meno intensa di quella degli uomini. Paradossalmente è più radicata perché coinvolge la sfera emotiva. Quella forza è semplicemente diversa.

Nell’Argentina dei Colonnelli, il regime militare faceva sparire gli oppositori politici. Desaparecidos, così venivano indicati centinaia di migliaia di uomini, anche molto giovani, svaniti nei meandri delle prigioni segrete. Furono le madri argentine, a sfilare tutti i giorni nella piazza davanti alla sede della giunta militare. Sapendo di rischiare la vita. Madri, non padri. Hanno un forza nel coraggio, assoluta.

Quando chiediamo alle donne di non piangere, mostriamo di non comprenderle. Rifiutiamo di prendere coscienza della loro diversità. Manchiamo la possibilità di trovare in quella differenza, una forza. Un volano diverso di motivazioni. Non comprendere che la sfida per una donna ha una forte componente affettiva, è chiedere loro di non essere quello che le rende ciò che sono.

Essere, anche Sara. Prendere un post sui social nel quale viene premiata come miglior giocatrice della settimana e scrivere: “Non penso di meritarmi questa top 5. Il mondo ricompensa più spesso le apparenze del merito.” Una affermazione che dovrebbe essere normale, invece non lo è. Quello che scrive Sara, non è solo l’unico viatico possibile per migliorare. Rappresenta anche l’unico possibile racconto, della realtà.

Le lacrime di Jessica e le parole di Sara, sono collegate. Emotivamente. Non è orgoglio, è perché importa a loro, in maniera diversa, più profonda. Quando molte donne prenderanno coscienza che essere Jessica, essere Sara è una forza, non una debolezza, avremo un futsal femminile migliore. Capace di raccontare se stesso, senza scimmiottare gli uomini, senza risolini e senza luoghi comuni.

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