Who gives a shit

Leggevo con interesse un pezzo pubblicato su Ultimo Uomo a commento dell’ultimo documentario sul Manchester City. L’articolo ha come titolo “E chi se ne frega”. Un racconto accorato di chi ha amato come molti di noi “Sunderland Till I Die”, una serie di Netflix che doveva raccontare la risalita in Premier di un squadra appena retrocessa e finì con li raccontare una seconda retrocessione.

Se tutti è iniziato con Hard Knocks e prosegue con successo con Drive to Survive, non tutti i prodotti del genere si sono rivelati un successo. Gli All or Nothing di Amazon sono di una noia mortale, Break Point di Netflix sul tennis è durato solo due stagioni.

Insomma non tutti gli sport hanno gli elementi necessari ad essere trasformati in un racconto sportivo capace di travasare l’alveo dei suoi appassionati. C’è una riflessione in quel pezzo però che m’ha ricordato una condizione abbastanza comune nel calcio a 5 italiano: la stagnazione.

“Chi sente il bisogno di un’altra serie sul Manchester City, e più in generale su una squadra di calcio come il Manchester City, vincente, di primissima fascia, che non rischia di retrocedere per la seconda volta di seguito? Quanti calciatori dobbiamo veder stonare canzoni per presentarsi alle nuove squadre? Quante pacche sulle spalle, quanti scherzoni tra compagni di squadra, quanti discorsi pre-partita, post-partita, in-mezzo-alla-partita dobbiamo vedere?”

Già. Davvero. Quanti palloni indirizzati di testa in un bidone dobbiamo vedere, quanti esercizi in palestra, quanti scherzi tra compagni, quante interviste pre e post partita dobbiamo sopportare ancora. Quanto tutto ciò è palesemente NON interessante eppure continuano a propinarcelo.

Perché le squadre spesso vogliono aprirsi all’esterno mantenendo il controllo dei contenuti, acquistandoli se necessario come avviene nel calcetto a cinque. Rendendoli così semplicemente e stucchevolmente noiosi. Al netto degli occasionali saltimbanchi, i club promuovono prodotti neutri, che diano solo l’impressione d’aver accorciato la distanza con i tifosi.

Di fatto così ci si limita a raccontare la banalità, quella del quotidiano. Cercando di eliminare il filtro d’un punto di vista esterno. Cercando di controllare il messaggio al punto di renderlo vacuo. “Questo tipo di racconto sportivo è scadente sia dal punto di vista giornalistico che da quello dell’intrattenimento” e non sono parole mie, arrivano da quel contributo su Ultimo Uomo.

La noia di quelli seduti al primo banco, dei primi della classe si riflette inevitabilmente sul prodotto. Ricordate dove si sedeva la parte più interessante della vostra classe alle superiori? In fondo vero? Esattamente. Dove c’è controversia, dove non c’è controllo.

C’è da riscoprire l’arte del racconto, dare fiducia a chi magari non confeziona un prodotto pubblicitario ma magari uno interessante. Recidere il controllo dei club sul racconto dello spettacolo altrimenti come nel docu sul City vedrete scomparire Cancelo e non c’è menzione dei 90 e passa capi d’accusa per violazioni finanziarie che pendono sulla società.

Il calcio a 5 che scimmiotta il calcio è destinato a fallire. Esattamente come è fallimentare il racconto calcistico italiano d’oggi, nel quale pur di vendere di celebrano giocatori come Loftus Cheek, uno di quelli che per scrivere il nome correttamente dovete cercarlo su Google.

Niente è interessante se si resta in superficie. Per affidarsi ai luoghi comuni del racconto sportivo oggi non c’è nemmeno bisogno d’affidarsi agli essere umani, basta un LLM, un Large Language Model.

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