L’avete mai letta una intervista a Rohui, Adzic, Aidoo, Buchanan? Probabilmente avete vagamente idea di chi siano se siete di calciofili irrecuperabili. I primi due fanno panchina nella Juventus, gli altri emulano l’ormai famigerato pastore di Formello, Zarate. Lo fanno però ad Appiano Gentile.
C’è una ragione per la quale nessuno si sogna d’intervistare quei giocatori. Il loro contributo di conoscenza, già trito fino alla nausea dalla stucchevolezza del racconto sportivo, è pressoché nullo. Minuti in campo, pochi. Peso nello spogliatoio a livello “cesto dei panni sporchi”. Sapere cosa pensano ha un valore narrativo pressoché nullo.
Non nell’italico calcio a 5.
No.
Nel tentativo di dare eguale rilevanza alle atlete della rosa, le interviste a pagamento, quelle acquistate per l’intera stagione, vengono indirizzate equamente verso tutti i componenti della squadra. Accade perché il fruitore finale non è l’appassionato, l’eventuale tifoso. I lettori principali sono il presidente/allenatore e il nucleo familiare dell’atleta.
Non c’è riscatto sociale. Non c’è di fatto una storia da raccontare, che non sia quella molto comune di atleti dilettanti che si barcamenano tra vita reale e la bolla del loro sport di nicchia. Tra mille sacrifici certo, tra rinunce ovvio, nulla però che permetta a quella storia di sollevarsi sopra al rumore di fondo d’una realtà estremamente connessa.
Nessuna di queste storie andrà oltre il piccolo recinto del calcio a 5. Perché non sono storie, sono veline di propaganda piene di retorica stucchevole. Certo massaggiano l’ego di chi le commissiona e di chi si legge, non tutto si ferma lì. Certo sono più facili da scrivere, non richiedono un impegno maggiore di quello di mandare qualche domanda ritrita via whatsapp e aspettare la risposta altrettanto scontata.
Un lavoro che Claude svolgerebbe meglio, con un minimo intervento umano. Sono così prefabbricate da sembrare uscite da un LLM. Centoventotto anni di giornalismo sportivo in Italia, da quel lontano 3 Aprile si sono spesi prima fiumi d’inchiostro ora una infinita moltitudine di pagine digitali per raccontare sempre la stessa solfa. C’era davvero bisogno di clonare una narrativa che ha spinto gli appassionati su altri media?
Non è che si debba imitare la deriva zazzeroniana che ha reso il Corriere dello Sport, un “Chi” a sfondo sportivo. Ma nemmeno sprofondare nel baratro dei dettagli, del gruppo, di una partita alla volta, di ogni partita è una finale, del questa squadra è una famiglia.
Se mai vi doveste chiedere come mai gli unici lettori che avete sono quelli che vi commissionano gli articoli, probabilmente la risposta è: “perché siete noiosi”.