Tutto è iniziato così, con Dua Lipa con indosso la maglia del Palermo Calcio. Che quelli del City Group sapessero fare il loro lavoro non credo si possa in alcun modo mettere in dubbio ma che questa abilità tracimi per le vie delle città e scivoli giù fino alla seconda categoria, difficile immaginarlo.
Palermo è quella città dove il sole sembra baciare il Mediterraneo. È un luogo di infinite contraddizioni e bellezze senza eguali. Qui, passato e presente si fondono in un caos, armonioso. A passeggio per le sue strade labirintiche, capita d’ascoltare i sussurri di mille storie. Ognuna mormorata dalle pietre consumate dal tempo e dai mercati vibranti.
Palermo non è semplicemente un relitto del passato. Il suo cuore contemporaneo batte al ritmo della modernità e dell’innovazione. In una di quelle larghe via capita d’inciampare quasi per caso in due spazi, uno al fianco dell’altro.
In uno capeggia la maglia rosanero, del Palermo. Appena qualche metro più in là, quella d’una squadra che non ho mai sentito nominare prima.
La sua maglia però ha quel disegno frutto di una ricerca, quel nome giusto per il territorio, senza essere piovuto da qualche angolo remoto nel quale riposano neuroni morti. Sicilia FC. Seconda categoria, Palermo. Descrivervi lo stupore nell’entrare in un negozio d’abbigliamento sportivo esclusivamente dedicato ad una squadra che milita sul fundo della catena alimentare del calcio italiano e paragonabile alla sofferenza che si prova a guardare le maglie del calcio a cinque di massima serie realizzate dal “cuggino” con velleità artistiche.
Non c’è niente che non funzioni, nell’intera esposizione del merchandise della squadra. Non parlo di qualche pezzo messo lì in esposizione. Si tratta d’una legittima scorta commerciale di prodotti che vanno dal portachiavi alla maglia da gioco, passando dalla borsa fino alla felpa.
Sarà che se cresci all’ombra della Cattedrale di Palermo, devi confrontarti con una grandiosità architettonica che sfida il tempo. Ti ritrovi tra i mormori di imperatori e conquistatori che hanno lasciato la loro impronta indelebile nell’anima della città. Può essere che il Palazzo dei Normanni, guardiano silenzioso della storia tumultuosa dell’isola imponga a chi l’osserva il dogma della ricerca del bello.
Esco e guardo ancora in direzione dello Store del Palermo, poi in direzione di quello del Sicilia FC, quasi quest’ultimo fosse un allucinazione, una stortura del tempo, una divergenza della bruttezza a cui tocca assistere sui campi del futsal italico. Devo entrare.
È tutto vero. Dannatamente vero.
Questo posto esiste e così anche tutto il materiale in esposizione. Porto via un portachiavi per ricordarmi che esiste un posto così. Che il bello è possibile anche in fondo alla piramide del calcio, anche nei bassifondi polverosi dei campi in sintetico così consumato da assomigliare allo zerbino di casa. Quello dove ti trascina l’amore per uomini ossessionati dal pallone, dai dubbi, dalla lettura e dalla voglia di capire.
Ho uno scontrino a provarlo, perché come direbbero gli anglosassoni “I got the receipt” è una prova dell’esistenza genuina d’un luogo che racconta di gusto, di storia e di visione oltre l’orizzonte dei campi di periferia. Si può non scopiazzare male il lavoro di altri, eludere il ricalco e proiettarsi verso il bello. Devi importarvi però, più della coppetta di plastica sul tavolo della taverna.