NIL è l’acronimo che indica Name, Image and Likeness.
Per decenni gli studenti universitari che praticavano qualsiasi sport con lo status studente-atleta erano considerati dilettanti. Avevano diritto ad una “scholarship” che permetteva loro accesso all’istituzione universitaria, vitto e alloggio completamente gratuiti.
Nonostante i programmi sportivi universitari guadagnassero milioni di dollari, ai giocatori protagonisti sul campi di stadi da 100 mila posti completamente esauriti, non veniva accordato alcun compenso. Questo almeno fino a poco tempo fa, letteralmente meno di un anno or sono.
NIL
Dopo una lunga battaglia giudiziaria contro la NCAA, l’ente che governa lo sport universitario negli Stati Uniti, agli atleti del college è riconosciuto il diritto a monetizzare attraverso dei contratti il loro Nome, Immagine e Likeness (Somiglianza). Non solo, è stato riconosciuto loro il diritto a trasferirsi da una istituzione all’altra negli anni di eleggibilità. Rendendoli di fatto liberi dalla schiavitù d’appartenenza al college nel quale accettavano di iscriversi.
Nota storica. In precedenza se uno studente atleta voleva trasferirsi in un college diverso rispetto a quello in cui era iscritto doveva versare una somma pari al massimo valore dell’iscrizione all’anno accademico. Molti di questi studenti atleti arrivano da realtà d’estrema povertà, quindi di fatto impossibilitati a versare somme a sei zeri.
Questo cambiamento radicale nei rapporti di forza tra istituzioni universitarie e giocatori negli Stati Uniti ha un riflesso che coinvolge anche la vecchia Europa. Nel basket ad esempio molti club professionistici iniziano a sviluppare il talento dei proprio giovani e a monetizzarne il valore fin dai dodici anni. Pensate a Luka Doncic, che giovanissimo si trasferiva nel Real Madrid (di basket). Oggi questa filiera di sviluppo è minacciata proprio dalle prospettive economiche offerte dai College USA.
Un approccio capace di minacciare realtà sportive economicamente stabili. Come può esserlo un club come il Real Madrid rischia di essere devastante per sport che non godono di questa caratteristica. Dalla pallavolo fino all’atletica ma soprattutto verso il calcio, anche quello al femminile.
Un diciassettenne di belle speranze invece di vagare nella penisola italica, sballottato tra squadre che falliscono e piene di debiti, potrebbe accettare di trasferirsi in un College USA, ricevere una istruzione e un contratto sicuro, garantito. Con la prospettiva di essere notato dagli scout della MLS.
Se per il calcio maschile questo può sembrare un ripiego, per quello al femminile rappresenta l’occasione della vita. Invece di essere considerata una hobbista retribuita, essere spedita a giocare nella profonda provincia italiana per poche centinaia di euro, quando si riesce ad averli quei soldi, si può essere reclutati dall’Università della Florida.
Sofia
Ti chiami Sofia. Forse il tuo cognome è Viera ma forse no. Giochi a calcio a 11 anche nelle selezioni giovanili del Portogallo ma se fosse l’Inghilterra o la Francia farebbe poca differenza. Un giorno uno scout dell’Università della Florida, quella vera quella con l’alligatore come logo della squadra, s’incontra con la tua famiglia e ti propone di frequentare quell’università, giocare per la loro squadra di soccer con una “full scholarship”.
Quindici anni fa, ma anche dieci, quella proposta era un salto nel buio, attraente ma piena d’incognite, soprattutto economiche. Forse allora t’ha fermato una situazione familiare, una condizione dell’animo. Hai fatto scelte diverse, una bella carriera nel futsal e sei felice, come lo possono essere quelle donne che hanno camminato in mezzo ai loro sogni.
Oggi. Sei mamma e hai una bimba, sedici anni, un fenomeno con la palla tra i piedi. S’avvicina a te un reclutatore di Stanford. Si quella Stanford, uno degli atenei più rinomati al mondo. Due dei pilastri della nazionale USA campione olimpica si sono diplomate li, Naomi Girma e Sophia Smith. Propone per quella che è la tua bimba, una “full ride” più un contratto NIL da 100 mila dollari, garantiti per quattro anni. Lasciandoti libera di stipulare contratti NIL accessori.
La tua bimba si troverà davanti a due opzioni.
Vagare sportivamente in un paese dove alla pratica sportiva devi sacrificare parte della tua vita senza una prospettiva futura certa anche fosse solo economicamente. Costretta probabilmente ad emigrare calcisticamente in un paese dove sarebbe una dilettante alla mercè di presidenti gaudenti, senza nessuna reale prospettiva di sicurezza.
Mettere il suo cuore e i suoi scarpini in un borsone e attraversare l’oceano, finendo probabilmente sulle rive d’un altro oceano, quello Pacifico. Con l’idea che mal che vada, nella peggiore delle ipotesi si ritroverà in tasca un Master Degree di una delle più prestigiose università al mondo e una rete d’amicizie influenti maturate in un contesto di privilegio universitario.
Per lo sport dilettantistico europeo è questa la vera minaccia. Il talento che viene spesso vilipeso fino a sparire in molte realtà al femminile potrebbe trovare un posto al sole dov’è possibile fare della propria passione sportiva una vera professione anche fosse solo per quattro anni. La possibilità di crearsi un futuro da professionista costituisce il valore palese oltre quello economico.