C’è il solito fastidio vento dell’Atlantico, che alza la sabbia fino a dentro il bicchiere di birra che cerco di bere anche se sono le 10 del mattino. Gli indigeni li riconosci subito, flip-flops e canotta anche se ci sono 16 gradi, gli altri hanno indosso il giubbino pensate e il cappuccio per ripararsi da quello che chiamano il “freddo”.
Dalla spiaggia si vede il circuito, si quello anche della formula 1. L’Olanda è anche così, è tutto attaccato, spesso attaccato al e dal mare. C’è una sola ragione cosciente per essere qui, scoprire dal vivo come si costruisce uno sport che prima non esisteva.
La F1 Academy, il campionato di formula 4 riservato alle donne, è solo alla sua seconda edizione. Eppure ha già la sua serie Netflix. Com’è possibile creare uno sport praticamente dal nulla e in sole due stagione. La risposta più stupida è “con i soldi” che certamente solo un fatto ma non quello più importante. È necessaria una visione che non sia piantata sul proprio ombelico.
Susie Stoddart Wolff è la risposta a quella domanda. Sostenuta direttamente da Liberty Media, la società che ad oggi detiene i diritti di trasmissione di tutti i maggiori eventi di automobilismo, è anche la moglie di Toto Wolff. “Quel” Toto Wolff in parte anche proprietario del team Mercedes di Formula 1.
C’è un vento assurdo oggi, meglio dire più assurdo del solito. Una di quelle giornate in cui l’oggi si mischia alle cose di ieri. Come fa la lemon soda con il gin e alla fine il gusto è sempre un po’ amaro. Perché questo modo di creare uno sport l’ho già visto accadere, oltre 10 anni fa e allora da attore protagonista mi lasciai convincere dalla narrativa: “ma hai un lavoro serio”. Che se fosse rivolta oggi ad un giovane quest’ultimo riderebbe in faccia al latore della frase.
La F1 Academy, come prodotto funziona perché Susie Wolff pensa a svilupparne le potenzialità invece di focalizzarsi sul successo del suo team che pure ha interessi nella categoria. Ha permesso, anzi incentivato la nascita di personaggi intorno ai piloti. Con tanto successo che nella Fan Zone del circuito ci sono più ragazzi e ragazze che vogliono un autografo da Bianca Bustamante che dal fiammingo di Hasselt.
Ho visto in sala trucco trasformare Aurelia Nobles da pilota brasiliano a “ma questa bellissima donna è lo stesso pilota di prima?”. L’impaccio con le telecamere, la timidezza di chi in fondo ha sempre solo vent’anni e l’incoscienza di non ricordarsi ad ogni minuto d’aver incollati milioni di occhi addosso.
Oggi sono qui a veder trasformare una competizione in uno sport, com’era accaduto in quel tempo lontano con gli esport. Ma oggi tutto viaggia ad una velocità allora impensabile, forse come queste macchine in pista. Quella che sembra una ricetta molto semplice, mettere al centro gli attori dello sport, sembra però impraticabile in molte altre discipline. Dove conta più quel risultato sportivo che in realtà non ha alcuna rilevanza. Dove il proprio ego è l’unico motore a fare da trazione all’investimento sportivo.