Il rebrand del Latina e le maglie del futsal

Nelle ultime settimane le immagini della maglia del Latina Calcio che milita in Lega Pro, hanno fatto il giro del web almeno due volte. La scelta d’affidare il suo rebrand completo ad Ezeta s’è rivelata vincente. Qualche tempo fa proprio su queste pagine è comparso il racconto dell’incontro con una delle anime dell’azienda romana.

Lo stile Ezeta ha portato una ventata di novità concettuale nella realizzazione delle maglie da gioco. I concept s’avventurano in territori spesso trascurati dalla tradizione calcistica e in un panorama di maglie tutte identiche a se stesse e spesso brutte, il loro stile è risultato dirompente.

Al ciclone mitologico del Latina Calcio è seguito quello del Como Femminile, che con infinite meno risorse di quello maschile ha messo su una operazione di rebranding degna di molte squadre di Serie A maschili. Ha puntato sulla medesima scelta già sperimentata dal Como maschile che vuole posizionarsi come brand di lusso. Si, esattamente lusso e fashion.

Il logo del Como Femminile rimanda ad un brand appunto “luxury”. Generando l’effetto d’esclusività che comunica anche la sua posizione geografica, quel lago di Como scelto come residenza da molte star internazionali del cinema. Il calcio è showbiz. La campagna risulta così efficace da indurre lo spettatore a chiedersi esattamente quali siano gli investimenti sportivi davvero posti in essere dal sodalizio lariano.

Scendendo molto in basso nella catena alimentare degli sport con il pallone, troviamo un calcio a 5 molto lontano dal concetto di sport fashion, lontanissimo dal concetto di showbiz. Certo quando in una disciplina si è impegnati a trovare il denaro necessario semplicemente a sopravvivere è anche complesso pensare all’abbigliamento.

Capita così di osservare purtroppo maglie che assomigliano più a volantini di sconto di un discount, con mille marchi incollati a riempire tutti gli spazi. Loghi realizzati dal cugino di qualcuno, altri copiati male e anche sgranatati, animali antropomorfi di dubbia identificazione, stemmi inseriti in zone della divisa da gioco che sarebbe meglio evitare.

Maglie da catalogo che hanno il solo pregio di costare il meno possibile, maglie di materiali dotati della proprietà indesiderata dell’autocombustione. Insomma decisamente brutte. Cringe a tal punto da poter essere collezionabili solo allo scopo appunto di ricordarne la bruttezza oggettiva.

Eppure è possibile un rebrand decisamente efficace anche nel calcio a 5. Com’è accaduto qualche anno fa con il Città di Falconara che s’affidò ad un serio professionista come Nicolò Valenti. Come fece per qualche anno anche la Divisione Calcio a 5. Dovrebbe essere inaccettabile partorire nomi come GTM Montesilvano, Gestione Trasporti Metropolitani vien da pensare ma non è tristemente così, acronimo posto in calce alle orrende tre gobbe dei colli intorno alla cittadina adriatica. Roba che nemmeno con le clipart di Corel Draw e Windows 3.1 è possibile generare qualcosa d’altrettanto brutto.

Non è che nella A maschile vada meglio. Al netto della scelta dei nomi, che evocano poco se non riferimenti pop del tutto slegati dal contesto. Caso L84. Per tutte le ragioni emotive che inducono a scegliere il nome di una squadra, potrebbe la Juventus chiamarsi Agnelli Calcio? Ecco. Che poi da L84 a Pop84 una marca d’abbigliamento anni ottanta il passo è breve, più che a pensare si tratti d’un composto chimico. Almeno in questo caso non è seguito dal suffisso C5 o sue varianti.

La piaga nel naming sponsor è una delle discutibili scelte compiute da alcune squadre di calcio a 5 nostrane. Certo per ragioni di vile denaro si fa tutto. Non ho mai visto però il Los Angeles Lakers chiamarsi i McDonald Los Angeles Lakers. La Fiat Juventus, il Fininvest Milan, Saras Internazionale e potrei andare avanti così. Il naming sponsor è un vezzo, un riflesso di sciatteria verso l’identità visiva d’un club.

Nella scala EZeta, la neonata maglia della Kick Off femminile segna un 5.3, logo con lettering semplicemente invertito senza una ragione apparente, colori in linea con la tradizione con il verde e il bianco a distogliere l’attenzione da quel All Black che dovrebbe rimandare alla tradizione del rugby neozelandese e quindi al total black. Sponsor centrali, coerenti nello spazio occupato. Sulle spalle sotto il numero altra serie di sponsor lunghissima questa volta, fino al bordo maglia. Brand Errea come fornitore sportivo, si poteva fare di meglio. Be a Kardashian.

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