Il futsal italiano tanto al maschile quanto al femminile s’appresta ai nastri di partenza. Dopo il comunicato numero uno della Divisione Calcio a 5 è tempo di iscrizioni, di mettere il denaro sul tavolo, non tanto denaro ma nemmeno una cifra trascurabile.
Questa estate torrida come mai diventa ancora più rovente. S’inseguono le voci di rinunce, di problemi, di fusioni. Un po’ per interesse personale, quello d’indebolire la credibilità del possibile avversario, un po’ per dare quell’impressione che i problemi nel movimento siano ampiamente diffusi.
L’endemica rincorsa ad accaparrarsi quelle poche giocatrici in grado di calcare con dignità agonistica il parquet è l’unico vero problema di questo calcetto a cinque al femminile. Non ci sono giocatrici, ancor meno atlete e manca anche la struttura professionale per sorreggere la crescita di un movimento che mai come oggi annaspa.
Sembrava questo fuSTal femminile tenere il naso fuori dalla linea di galleggiamento, di poco. Fino a quando non s’è abbattuta la Grande Morìa. A voler spostare l’accento chi non s’è limitato a leggere il contenuto dei tovaglioli al bar, potrebbe riconoscere le Miniere di Moria di tolkeniana memoria.
Oppure la grande moria delle vacche, dal monologo di Toto e Peppino De Filippo in Totò Peppino e la Malafemmena.
Ventuno squadre non s’iscriveranno al campionato nazionale di Serie B femminile, molte ripartiranno dal regionale. Un po’ per ragioni di costi, un po’ per la natura molto amatoriale, quasi amicale della competizione di Serie C. Una sorta di dopolavoro per molte, un male necessario per salire di categoria per quelli che in tre stagioni riescono ad arrivare in Serie A salvo poi scoprire che i costi della A sono molto più alti e non si può giocare nel campetto sotto casa.
Ventuno squadre. Un terzo degli aventi diritto. È una ecatombe. Quante di quelle squadre erano state celebrate, ovviamente senza motivo, nel corso degli anni solo perché esistevano. Perché contribuivano a creare quel rumore di fondo utile a dare l’impressione d’un movimento in crescita. Anche se poi a girare erano sempre le stesse atlete, le stesse facce, cambiava talvolta la matricola della squadra.
Al netto di qualche ripescaggio o magheggio, i numeri sono lì implacabili. Alla vigilia della tornata elettorale sarà interessante scoprire come questa governance intende affrontare l’anossia del movimento al femminile. Nelle ultime due legislature la gestione del movimento al femminile ha sempre avuto il medesimo responsabile. Questo è lo stato terminale di quell’impegno.
L’unica voce che abbiamo ascoltato negli ultimi 6 anni, dalla fine della presidenza Montemurro all’inizio di quella Bergamini ci ha racconto quanto fosse in espansione la disciplina al femminile. Dalla boutade montemurriana del “abbiamo più tesserate del volley femminile” al “grande spettacolo del calcio a 5 femminile” non è che poi la voce sia cambiata. È sempre la stessa.
A parte celebrare con una coppa il munifico presidente di turno, organizzare mega raduni macroregionali con annesse partitelle, cosa s’è fatto per sostenere il movimento di base? Per affrancarlo da quella condizione di passatempo sociale tra amiche.
Quando si continua ad investire in giocatori ultra quarantenni è sintomo della penuria di talento giovane e d’ignoranza. Quando la competizione assomiglia più a quel “Campionato Master” sempre di montemurriana memoria che ad una competizione agonistica convenzionale sarebbe anche il caso di porre la questione del numero delle atlete reclutabili.
Atlete, non pettorine.
Chiunque guardando la Serie B o peggio la C del futsal italiano al femminile vede uno sport in salute, mente sapendo di farlo. Ci sono ragioni economiche, strutturali ma soprattutto morali per questa condizione. Questo futsal è prigioniero del suo dilettantismo che fa comodo a tanti. Di quelli che si sollazzano tra le pieghe economiche, di quelli che solleticano il proprio ego. È compito di chi viene eletto risolverli questi problemi altrimenti sarà complice se non artefice della marginalità estrema della disciplina.