La Divisione Calcio a 5 è oggi il miglior editore del calcio a 5 tricolore. Hands Down, direbbero gli anglosassoni. Almeno nell’ultimo anno lo sforzo d’innovare almeno a livello visuale l’immagine del calcio a 5 e farlo somigliare più al futsal è palese. Un lavoro encomiabile, frutto del lavoro di onesti professionisti.
Il linguaggio risente ancora di una indubbia sofferenza da “settebelli” e “ottovolanti”. Probabilmente risulta funzionale a parlare al nocciolo duro di questo sport, gli umarell da balaustra, quelli ancora convinti che facebook sia l’intero web. La promozione è parte importante di qualsiasi iniziativa. In questa stagione la Divisione Calcio a 5 si è spesa, tantissimo.
Dai video verticali a bordocampo per raccontare la partita, all’aver impiegato il social media manager della L84 per le strade di Torino, le iniziative non sono mancate. Le sfide, il product placement, insomma tutto il repertorio, fatto per bene. Ad essere pignoli c’è un però, ma ad esserlo davvero tanto.
I tempi della comunicazione si sono accorciati, forse meglio si sono vaporizzati. L’aver adottato un certo schema di produzione di contenuti seppure efficace, lo risulta meno quando ci si confronta con un mercato già saturo di quel tipo di narrativa. Diventa così davvero distinguersi da un video di pallamano, hockey su pista o pallacorda.
In un mercato dove conta il volume nella stessa misura della qualità dei contenuti, viene da chiedersi quanto spazio vitale ci sia davvero per il calcio a 5 anche quando è futsal. Se ci sia davvero un diastema, in un mercato saturo. Negli ultimi 10 anni l’unica disciplina che ha ricavato un frattura nella coriacea struttura di discipline planetarie è stato il padel. A fronte però d’investimenti importanti e della sua capacità di fagocitare il calcetto come passatempo generico.
Se non aumentano le ore in una giornata e restano 24, il futsal per diventare rilevante deve sottrarne una parte a quelle già occupate da sport decisamente più rilevanti che già presidiano aggressivamente il loro territorio. Quello che vende, sebbene possa essere vestito d’una componente emotiva capace trascendere la sua camera di risonanza, è il prodotto del campo.
Vien da chiedersi se in questo momento, il futsal italiano è davvero un prodotto vendibile. Incastrato com’è tra un passato fatto di giocatori che il viale del tramonto non solo l’hanno già percorso ma ci sono cresciuti anche gli alberi intorno e quei giovani, buttati in campo per decreto regio che non sono la massima espressione di raffinatezza estetica.
Spesso per eccesso d’amore si guarda e si ragiona di calcio a 5 italico, più proiettando i propri desideri che analizzando la realtà. Ci si affida allo Specchio delle Mie Brame, per sentirsi al sicuro in un narcisismo convoluto. Probabilmente quella attuale è la realtà del calcio a 5. Uno sport di nicchia, con una sua fan base demograficamente rivolta alle famiglie e agli “anta”, molto “anta”, collaterale al calcio.
Se invece di rivendicare una grandeur che non è all’orizzonte, anche se viene raccontata così da un decennio ormai, di ricordare Anversa ad ogni occasione o quella solitaria Champions League, ci si concentrasse su quello che il movimento davvero rappresenta, forse si consoliderebbe la sua base invece di subire una moria della vacche ad ogni fine stagione.
Forse così il futsal italiano non sarebbe quello sport, nel quale per ricordare le squadre che sono fallite negli anni, basta consultare il suo albo d’oro.