Arriva nella posta, avvolto con la cura di chi del libro ha fatto un mestiere e con il contribuito di chi nel libro crede, come fonte primaria di conoscenza. Il regalo d’un libro, di quelli fatti di carta, rappresenta anche una richiesta per chi lo riceve. La lettura è una atto consapevole.
Scarto il plico, che con perizia proteggeva questo libro che ha più la forma del quaderno, il carattere del font grande come se fosse uscito fuori da un ebook reader o come se fosse lì a coprire uno spazio. Un fuori formato lo definirebbero quelli che ancora lavorano coraggiosamente nell’editorie.
Lo apro. Ho appena passato la copertina che con una foto troppo sgranata racconta di una donna e un pallone a spicchi, quello da basket. Opera Incerta, la casa editrice, il nome è geniale, già così. Lia Rebecca Valerio ha masticato tanto basket di serie a in Italia è una donna del Nord Est, prestata alla Sicilia, a Ragusa in particolare.
Questo quaderno raccoglie i suoi racconti, pubblicati sul sito della sua squadra, la Virtus, Ragusa. Le prime ventinove pagine sono volate via. L’ho chiuso più volte il libro in quelle prime pagine, non perché non fosse bello, temevo e temo ancora finisca troppo in fretta.
Lia ha il dono del racconto, che non capita a tutti ma quando lo trovi stampato, non puoi non riconoscerlo. Ho pensato subito a quante delle storie di sport al femminile vanno perdute perché nessuno le racconta, perché sembrano meno importanti del risultato del tabellone. Forse lo sono, ma in maniera diversa.
Questo libro dovrebbe essere distribuito obbligatoriamente ad ogni atleta, non importa il sesso, l’orientamento sessuale, la nazionalità o peggio la disciplina. Storie a Spicchi è un manifesto. Vi spiega tra le righe che se non avete altro al di fuori della pratica sportiva, allora non vi resta nulla, siete inevitabilmente vuoti. Racconta quando tutti gli sport si somiglino ma siano ineluttabilmente unici quando lo si racconta, invece di farne la cronaca.
Raccontarlo come fa Lia vuol dire portare il proprio cuore allo scoperto, davanti ad un pubblico che è sempre più affamato di sangue che d’amore. Ci vuole coraggio, quello delle proprie idee e fiducia, nel talento che gli altri vedono e tu non vedi mai.
L’ho poggiato di fianco a me, tra la tastiera meccanica e il secondo monitor, sopra la cuffia e il controller. Ho deciso che lo porterò con me come fossero appunti d’un viaggio che dovrei percorrere. Perché a raccontarlo così lo sport finisce che forse s’appassionano altri se non alla disciplina almeno alla lettura.
Allora grazie a chi l’ha scritto, chi ha avuto il coraggio di pubblicarlo e a chi me l’ha regalato. Anche un po’ a me, che mi sono ricordato di quella frase di una canzona di Ligabue che recita più o meno: “metti in circolo il tuo amore, come quando dici perché no…” ed ecco allora l’ho aperto pensando esattamente quello, perché no?