Qualche giorno fa, dopo 35 anni dalla prima edizione del mondiale maschile di futsal, la FIFA ha prodotto il primo ranking ufficiale. Ovviamente tutti si sono concentri sui rapporti di forza che quella classifica racconta.
Spesso così diversa da quella del calcio. Un elenco che racconta di una geografia a tratti incomprensibile per chi segue lo sport più praticato al mondo. C’è forse spazio per un approfondimento ulteriore, uno di carattere più culturare che meramente sportivo.
Com’è possibile che siano passati trentacinque anni tra la prima edizione del Mondiale ufficiale e il primo ranking emanato dal quartier generale della FIFA in quel di Zurigo? Una istituzione che ha giova ricordarlo, 119 anni di vita, non è una libera associazione di amici della bottega sotto casa. Questa è una istituzione che almeno negli ultimi anni ha riempito ogni sua pubblicazione con la parola inclusione.
Una inclusione che ha probabilmente i sui tempi, geologici o biblici, scegliete pure. Più di trent’anni per un mondiale di futsal al femminile, 35 per un pezzo di carta con una lista di nomi e numeri. Non è che probabilmente nella lista delle priorità di qualsiasi governace del calcio mondiale sia più una priorità litigare il brand di un videogioco in tribunale che occuparsi dello sviluppo delle discipline che governa?
Difficile altrimenti spiegare questa lassività. La FIFA è attualmente più impegnata nella battaglia legale ed economica con la UEFA e con i governi nazionali che nella promozione dello sport. Sembra decisamente più interessata a diventare promotore di lucrativi tornei internazionali, non vi dice nulla il “mondiale per club”?
Qualcosa alla fine è arrivato. Saranno briciole, sarà il minimo indispensabile e per giunta in colpevole ritardo? Probabile. Sebbene occore non dimenticarlo mai, questa è una società a capitalismo avanzato, nella quale che piaccia o meno si è governati da una definizione: su larga scala. Se non rientri in quella categoria, non conti davvero.