La giocano

Brenda non è così in trance agonistica quando gioca in Serie A. La vedo tenere in pugno stretta la pettorina di un suo giocatore che attende invano di averla indietro. Eppure questa è una partita di futsal under 15 femminile, probabilmente non c’è molto altro meno rilevante a livello agonistico.

Allo stesso tempo non c’è nulla di più importante a livello didattico.
Avanti di un solo gol. Pressate letteralmente nella loro aerea di rigore da avversarie più grandi fisicamente e d’età, le ragazze di Brenda e Eva, fanno quello che alcune squadre di serie a femminile non si sognerebbero mai di fare: giocano la palla.

Non la buttano lontano. La giocano con la compagna, uno-due ed escono palla al piede. Niente di raffinato, tuttavia essenzialmente efficace. Quando la giocata non riesce, perché poi in fondo i piedi sono ancora montati in maniera approssimativa, arriva l’incoraggiamento dalla linea laterale.

Sempre da quella donna che stringe in pugno ancora la pettorina di un giocatore sostituito. Perché quell’incoraggiamento è così importante. Perché promuove un modo di pensare, costruisce una mentalità. Garantisce al giovanissimo atleta una confidenza nelle sue possibilità che sarebbe impossibile edificare altrimenti. Le comunica che l’intenzione del suo gesto era corretta, che c’è da aggiustare l’atletismo dello stesso. È quello che viene definito rinforzo positivo. Quella bimba crescerà diventando una donna che potenzialmente possiede gli strumenti cognitivi per reagire sotto stress.

Nei momenti nei quali ci sentiamo minacciati, spesso reagiamo istintivamente cercando di ricacciare la minaccia il più lontano possibile da noi. Quella uscita dalla pressione palla al piede paradossalmente ti restituisce non solo una lezione sportiva ma una di vita. Con l’aiuto d’un compagno di squadra, con l’assistenza di qualcuno puoi superare, aggirare qualsiasi minaccia.

È un moto della mente, così difficile da esercitare se non ti viene fornito uno strumento concreto attraverso il quale esercitarlo. Brenda ed Eva non sono semplicemente allenatori, sono istruttori e qualsiasi divinità voi adoriate questa vi dirà che c’è un bisogno quasi disperato di figure così. Di qualcuno che fornisca ai giovani atleti quelle istruzioni che permettano loro di avere successo e non solo sul campo da gioco.

Gli allenatori coltivano (allenano) qualcosa che c’è già, gli istruttori forniscono quelle informazioni necessarie ad apprendere una nozione. Quando in una disciplina queste due anime si fondono nella stessa persona ecco che una squadra di under 15 con i piedi montanti decisamente a caso esce palla al piede dalla sua fase difensiva eludendo la pressione degli avversari. Se non pensate che sia straordinario allora probabilmente non avete mai osservato una partita di Serie B/C femminile a qualche scontro di A di calcetto a cinque femminile.

A parte quello di Antonia, perché un nome da nonna che vive in mezzo ai monti, non ho imparato quasi nessun nome. Così le bimbe sono più un collage di associazioni. C’è il portiere che: “mi raccomando tante foto”. Troppo piccola per una porta troppo grande ma con tanto coraggio che non so dove lo metta. Poi c’è la sorella, credo. Numero nove e l’incoscienza necessaria a pensare di poter andare a lottare contro chiunque. C’è quella che suona i tamburi, ha i capelli lunghissimi e le scarpe eternamente slacciate: Alisia, il nome l’ho appena visto tra le notifiche di IG. Il secondo portiere, quella che con i capelli legati prepartita non avrei mai riconosciuto in vita mia.

C’è il sette, “maybe” Stefania. Questa volta il nome penso d’averlo sentito ripetuto più di una volta quando dopo l’ennesima galoppata sulla fascia invece di tirare la mette nel mezzo per una compagna che ovviamente non c’è.Così m’è rimasto in testa. La spilungona con il 4 sulle spalle, non mi sembra d’averla mai vista sorridere e eppure sono andato ad un buon numero di partite, ignoro il nome. Capace di vedere il gioco come se avesse vent’anni d’esperienza sul campo. Dimentico sicuramente tutte le altre, tipo quella che gioca con i capelli letteralmente sugli occhi. Siete nelle mie foto quindi è già qualcosa, almeno per me.

Avevo una vostra foto qui sul muro, stampata come una vecchia polaroid istantanea. Perché mi ricordate quel momento nel quale tutti i sogni della vita e se credete di poterli sportivamente realizzare un po’ il merito è anche di quelle due donnine che chiamate “mister”. Allora l’ho staccata e l’ho regalata a loro, perché il dono di qualcuno che crede in voi non è scontato ne comune.

Nelle cuffie mentre scrivo va in loop “Dancing in the Kitchen” dei LaNy.
“I don’t mind if this whole town goes up in flames
As long as I got you with me, I’ma be okay
Slide across the floor, I’m forever yours, yeah
What you think? Pour another drink, put it on repeat”

Suona giusto proprio per voi. Love you all.

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