I ragazzi venuti dalle Banlieue

Nel futsal i rapporti di forza tra nazionali farebbero impallidire l’appassionato di calcio medio. Basterebbe una occhiata al ranking fifa del futsal per farlo vacillare. Nei primi dieci posti troviamo: Russia (4) nonostante sia bandita da due anni dalle competizioni internazionali. Iran al sesto posto, poi Kazakhstan (7), Marocco (8), Ucraina (9) e Francia decima.

Dove sono gli azzurri, all’undicesimo posto, +1 recita la colonna della progressione nel punteggio. Ci siamo scambiati di posto in classifica con il Giappone. Non quello di Holly e Benji. Normale verrebbe da pensare che la Francia occupi una posizione migliore in classifica, vero?

Sbagliato. Due anni fa il programma di futsal francese non esisteva: letteralmente. Non perché ve lo dico io ma se usate il cerca di questo sito, troverete una mia chiacchierata con l’attuale selezionatore della nazionale francese di futsal che vi racconta la genesi d’un programma di fatto complementare a quello principale dedicato al calcio nel centro sportivo federale di Lione.

Un gruppo di giocatori francesi presi a prestito dal calcio nel giro di due stagioni si sono piazzati davanti ad una Italia che pur giovando del supporto degli oriundi non parteciperà ad un mondiale al quale invece i ragazzi Raphaël Reynaud si sono qualificati direttamente, senza nemmeno passare dai playoff.

Ieri quegli stessi ragazzi che giocano per la gran parte nella massima divisione francese hanno battuto seppur in amichevole il Brasile, quello vero, quello pentacampeao o come diavolo si scrive. Non una versione annacquata dei verdeoro, loro. I campioni che vediamo sfrecciare nella Liga spagnola. Tre a due il risultato finale per i blues. Per dover di cronaca aggiungo d’un Brasile che dopo il vantaggio iniziale ha sempre inseguito la banda d’impeninenti francesi.

Guardiamo alla lista dei convocati in maglia Blues.
Lokoka (P.), Saadaoui, Lutin, Mohammed (Cap.), Mouhoudine. Marquet (P.), Belhaj, Mamadou Touré, Ahssen, Tchaptchet, Mamadou Touré, Mendez, Bendali, Benslama.
Lutin, paragonato dall’ufficio stampa della Meta Catania, un Mpappè. ha un recentissimo passato italico. Il capitano invece una autentica forza della natura, un Zizou prestato al futsal ha militato nel CMB. Li cresciamo per lasciarli andare.

Non notate nulla, almeno nella genesi dei cognomi di questi atleti? Sicuri? Eppure la natura multiculturale di una nazione dal lungo e anche tragico passato coloniale non vi dovrebbe stupire. Così come sono conoscenza comune le tensioni sociali che spesso attraversano le periferie francesi.

La spesso estrema povertà delle periferie non è però un fenomeno solo francese. È facile nominare una manciata di periferie ad alto tasso di degrado sociale per ogni grande città italiana, da Palermo a Milano. Perché ora vi parlo di degrado sociale? Indugiate con me ancora per un po’. Vi porto ora in Lituania. Sulla panchina della più importante squadra di pallacanestro del paese siede Andrea Trinchieri.

In un recente cortometraggio-intervista ha chiosato così: “i giocatori italiani non hanno fame, sono sicuri di avere il posto. Qui il basket è una via d’uscita, una occasione di riscatto sociale”. Tornate con me ora nelle banlieue francesi, quelle in cui sono nati talenti come quelli di Pogba, Benzema e Ribery. Istruiti poi magnificamente nel centro di Lione.

Se la cifra di differenza tra il futsal e per estensione il calcio nostrano e quello degli altri, così in una pindarica e azzardata generalizzazione, non fosse nel talento ma nella fame. Già fame. F A M E.
Quella reale, quella generata dalla mancanza del necessario. Se ai nostri atleti mancasse la necessità d’essere atleti professionisti, se a loro bastasse essere foraggiati saltuariamente per praticare un hobby?

Perché all’italiano è garantito il posto, perché il “mestiere” del giocatore di futsal non è spesso una ambizione, uno scopo perseguito, piuttosto un accidenti. Qualcosa che capita insomma mentre probabilmente si era impegnati a fare altro.

Mentre li coccoliamo raccontando loro: “quanto sono bravi”, mai una critica pubblica, ma uno sprone che li metta nella condizione di porsi la domanda “sto facendo abbastanza?”. Mai che siano indotti ad una assunzione di responsabilità: “ho fatto schifo”, l’avete mai sentito dire, pubblicamente?

Che futuro ha una disciplina dove è sempre tutto in crescita, tutto un progresso ma non s’analizza mai il contesto, la natura della progressione, dove c’è sempre un percorso ma nessuno dice mai dove porta. Quando l’obiettivo è sempre la crescita basta restare semplicemente scarsi per potersi avvalere di questa ragion d’essere. Quando conta semplicemente essere in viaggio, spesso si finisce con lo smarrirsi.

“All that is gold does not glitter, Not all those who wander are lost”. Così questa volta una citazione letteraria e se non l’avete riconosciuta ecco, aiutatevi con google o anche duckduck.

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