Drive to Survive

Ho sempre trovato la Formula 1 uno spettacolo televisivo noioso da guardare. Almeno per come viene proposto generalmente dai canali convenzionali. Una sconfinata serie di “vroooom…vroooom” lunga tre ore dove solitamente non succede poi molto.

Tre ore come una partita della NFL, anche questa difficile da consumare in formato multiplo, a lungo. Tanto da diventare terra di conquista per i brevi commercial che sono diventati la parte più interessante delle partite dal risultato più scontato.

Uno degli strumenti con i quali la NFL ha stuzzicato l’interesse di nuovi spettatori è stata ed è tuttora la serie “Hard Knocks”. Se vi state chiedendo perché ora sto scrivendo di American Football, indugiate con me ancora per qualche riga.

Sei anni fa, la Formula One aveva un affezionato pubblico televisivo, contenuto all’interno di una demografia però limitata. Appassionati di motori, cultori della velocità, appassionati di telemetrie. Sicuramente un pubblico interessante per gli sponsor di settore ma con molto meno appeal per quei brand più munifici.

Così l’allora Managing Director of Commercial Operations, Sean Bratches contattò la Box to Box, casa di produzione autrice di Senna, il docufilm. L’anima artistica della B2B è James Gay-Rees, uno degli uomini che ha partecipato attivamente alla realizzazione del progetto Hard Knocks. Vi avevo detto che vi tornava utile quell’informazione.

La forza del successo di Drive to Survive, ora alla sua SESTA stagione è nell’aver portato la formula uno ad un pubblico che prima completamente disinteressato. Ma come? Raccontando i personaggi, il dramma, le controversie. Riducendo l’evento gara alle sue parti essenziali: i sorpassi e gli incidenti.

I trentacinque minuti di una puntata riescono a contenere anche tre Gran Premi. Tutto il resto è racconto dei personaggi, soprattutto nei momenti più difficili perché quelli li abbiamo tutti ed è più facile identificarsi. Ho divorato la prima stagione e mi sono ritrovato a pensare: “perché non la raccontano sempre così la Formula Uno, la seguirei con maggiore interesse”.

Continuando a seguire le stagioni successive e prendendo appunti come faccio sempre quando guardo qualcosa d’interessante, ho riflettuto su quanto questo tipo di narrazione si sia diffusa negli sport, da Sunderland Till I Die fino a Una Meravigliosa Stagione Fallimentare. A pochi interessa ascoltare per la millionesima volta di quanto: siano importanti i dettagli, l’impegno massimo sarà profuso e così via.

Il pubblico quello non di nicchia, quello che non si interessa di schemi o di telemetrie è più interessato a conoscere le storie dei suoi protagonisti. L’estrema competizione interna, le feroci rivalità, le amicizie anche quelle tradite. La competizione resta il fulcro che genera le contraddizioni ma non è l’anima dello sport. Quella è costituita dai suoi personaggi.

Se Drive to Survive ha suscitato l’interesse di chi come me s’annoiava a guardare i gran premi qual è la lezione che uno sport minore, come il futsal può trarre? Certamente quella che i risultati per quanto importanti non sono il centro d’interesse per un grande pubblico, sono il necessario corollario.

Il futsal in Italia però sembra interessato ad essere calcetto a cinque, disperatamente. Ecco com’è popolata la comunicazione del calcio a 5 in Italia: con il (aggiungere prossimo avversario) non sarà facile, affronteremo ogni squadra al massimo, gruppo coeso, determinate a dare il massimo, squadra che non molla mai, concentrazione altissima.

Seriously. Davvero qualcuno pensa che ripetere la stessa cantilena all’infinito desti l’interesse di qualcuno che non è direttamente coinvolto nella disciplina? Che ci sia qualcuno lì fuori che ha interesse a sapere che altri s’impegnano. Non è scontato l’impegno in qualcosa che si decide scientemente di fare? A livello linguistico tuttavia è interessante scoprire quante volte si possa salire e scendere dall’ottovolante in una sola stagione. 

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