Pretendiamo rispetto, dall’arbitro

Nelle ultime settimane, gli episodi che hanno visto protagonisti i direttori di gara del calcio a 5 tricolore si sono rincorsi sul social per vecchi: Facebook. Sulla piattaforma preferita per il dissing italiano antelucano, più d’un presidente, allenatore o addetto stampa facente funzioni, ha lamentato una mancanza di rispetto.

Un attimo. Rispetto? Non dovrebbero lamentare una mancanza di professionalità, competenza e capacità di giudizio? Perché queste ultime sono sicuramente caratteristiche che dovrebbe possedere un buon arbitro, in qualsiasi sport.

Perché il rispetto, di cosa esattamente. Questa parola, in ambito sportivo, seguita spesso dalla minaccia d’abbandonare i lidi sportivi, suona particolarmente sinistra. Quasi avesse un retrogusto aspro e cattivo, quasi da uomini d’onore.

Quasi. Come se l’arbitro dovesse mostrare una certa deferenza verso questa o quella squadra, in virtù di uno status, d’un investimento economico, dell’orgoglio della sua dirigenza. Così però non si chiede un arbitraggio in qualche modo equo e corretto.

Si chiede all’arbitro d’essere di parte, dalla “nostra” parte. Non l’imparzialità ma il mero riconoscimento del diritto presunto ad una sorta di protezione arbitrale. Non si chiede un arbitro bravo ma uno incline alla partigianeria.

Resta fermo il mantra di chi vi scrive: “Se fai decidere la partita dall’arbitro vuol dire che stai giocando male” o di merda aggiungerei. Partendo da questo presupposto non mi è certo aliena la questione di quanto un arbitro scarso possa orientare una partita. Difficile però orientare uno 0-4 a favore anche se a fischiare c’è Byron Moreno.

Invece d’invocare rispetto, si potrebbe provare a chiedere competenza, conoscenza, attitudine e professionalità. Imporre ad una classe arbitrale anche se non professionista una maggiore professionalizzazione del ruolo.

Invece no. Negli inconfessabili pensieri di ogni dirigente e allenatore spesso alberga quell’oscuro desiderio d’aver un arbitro che fischia per la propria squadra. D’una partigianeria imbarazzante. Perché se il fine è vincere, ad ogni costa, non importa come. Importa che avvenga.

Si genera così un orrendo e osceno rituale di recriminazioni, minacce, lamentele che non contribuiscono a migliorare la situazione. Complice in questo, una classe arbitrale che in tutti gli sport e a tutti i livelli si trasforma in ottocentesca Carboneria. L’siolazionismo rappresenta ancora un pilastro della classe arbitrale, non importa quanti audio del VAR vengano resi pubblici.

Si può oggi additare come “scarso” un giocatore, allenatore e perfino un dirigente. Mai però rivolgere questa considerazione verso un direttore di gara. Eppure hanno anche loro dei voti, che piacerebbe a tutti conoscere.

Non serve rispetto. Invocarlo o pretenderlo non migliora le capacità degli iscritti alla CAN5. Pretendere dai dirigenti della CAN maggiore trasparenza e interventi tesi a migliorare le abilità dei suoi iscritti, ecco questo potrebbe essere utile. Anche solo per liberarsi di qualche Mastro Birraio di troppo.

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