Masao e Kazuo. Ylenia e Benedetta.

Inizia tutto così. “L’altra volta non sei venuto e abbiamo pareggiato“. Come posso quindi mancare oggi? Non è che abbia portato particolarmente fortuna, hanno perso. Ma le partite dei campionati giovanili sono così. Influenzate da età, tempo di pratica e dalla biologia.

Un paio di visi che non ho mai visto nella squadra di casa, però nel dubbio non dico nulla, sarà che invece l’ho incrociata e non la riconosco? Sono già una frana con i nomi, non anche con i visi. A queste avversarie concedono centimetri, chilogrammi e qualche anno di vita. A questa età fa tutta la differenza del mondo.

C’è il portiere di casa. Assomiglia tantissimo al numero nove, quello con le treccine. Non ho idea del perché m’hanno subito fatto pensare ai gemelli Derrick (nella versione italiana di Holly e Benji) meglio conosciuti come Masao e Kazuo Tachibana per quelli che sanno cos’è Capitan Tsubasa.


A rifletterci meglio potrebbero essere Junichi e Keisuke Wanima. Quelli di Blue Lock. L’ultimissima serie d’animazione sul calcio made in Japan ma prima un famosissimo e vendutissimo manga. Tanto da essere diventati anche delle Figma e dei Nendoroid.

Benedetta ha le movenze d’un portiere di futsal, vero. Esattamente quelle giuste per la posizione. Quello che per ora la biologia le nega in centimetri d’altezza li ha in dono nel carattere. Ai Gen.Alpha attribuiamo l’incapacità di soffrire, la facilità con la quale abbandonano alla prima difficoltà, Benedetta è oggi l’esatto opposto.

Ha quella attitudine, appresa sicuramente, innata probabilmente, che le impedisce di credere che NON possa fare qualcosa. La osservo giocare ed è come se qualcuno non le avesse mai detto: “sei troppo bassa per fare il portiere” oppure semplicemente e magnificamente per lei non è importante. Ed è una cosa bellissima. Perché rivela un tratto del carattere che spero la possa accompagnare per sempre.

In un mondo aduso a dirci quello che non possiamo fare, trovare due bimbe che ignorano e sconfiggono questa malsana abitudine è un dono, più grande di una Coppa dei Campioni. Forse no, ma ti potrebbe aiutare a vincerne una, vera, un giorno.

Entra in campo il numero nove. Ylenia, l’ho imparato dopo. Anche lei ha questo talento incastrato dentro. Prima corsa e va a contrasto con una avversaria alla quale fisicamente deve concedere 40 cm e 20 kg. Le svolazzano le treccine mentre cerca di raggiungere e toccare il pallone. Torno indietro con lo sguardo verso il portiere, poi di nuovo sul numero nove. Portiere-Nove. Nove-Portiere.

Ci penso un po’ poi chiedo alla mia vicina di panchina e nemmeno lei è stata un giocatore particolarmente alto, quindi misuro le parole: “ma sono sorelle?“. La risposta nella quale speravo arriva: si. Ecco, che storia magnifica. Eccomi ad immaginare una versione al femminile dei gemelli Wanima.

Fischio finale. Racchiudo quest’ora passata seduto letteralmente a bordocampo con un “let them play“. Lasciate che giochino. Il più possibile. Anche con le scarpe sbagliate. Fino a quando il loro corpo non si disordina per la fatica e non riescono che a sorridere per la stanchezza.

 

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