Qui come in famiglia

Mentre si conclude questa finestra invernale di futsalmercato che certo non muove le suggestioni dell’hotel Astoria di Milano, vale la pena ricapitolare non tanto i movimenti dei giocatori, quanto la dialettica utilizzata.

Qui come in famiglia“. Talvolta anche declinato con un più entusiastico “Questa coppa è merito di questa grande famiglia“. In queste settimane vi sarà capitato di leggerlo spesso. Anzi spessissimo. Facile puntualizzare che anche i Borgia erano una famiglia, così come i Romanov, gli Hussein e per restare nella sfera dittatori sanguinari: i Kim.

Senza scomodare le famiglie del cinema possono elencare senza troppo sforzo quelle mafiose di ieri e di oggi: i Gambino, i Riina, gli Iovine e i Zagaria.

Sicuri davvero di continuare ad utilizzare “come in famiglia” come descrizione della vostra isola felice? Già, famiglia felice. Nel futsal è più facile che finiate con il cranio spiaccicato sul muro dopo che ve lo hanno sfondato con un mestolo, come nella famiglia Lorenzi.

Davvero nel calcetto tricolore abbonda l’armonia, l’amor e le altre stelle? In fondo tutto e possibile anche che Remo sia morto inciampando nel fossato scavato da Romolo, chi può dirlo? Abbiamo solo il racconto di Romolo a corroborare le indagini.

Sono qui per il progetto“, la sua variante “ho sposato il progetto” oppure un più ingegneristico “ho trovato il progetto interessante“. Ovviamente non viene mai specificato quale, di cosa si tratta e tantomeno la sua durata. Quella però la possiamo azzardare con una educata deduzione statistica: non supera i tre anni.

Si sta diffondendo piuttosto pervicace anche un nuovo ceppo dialettico, molto virulento. “Stiamo migliorando“, declinato anche come “stiamo lavorando bene“. Talvolta si azzarda un “siamo in crescita“. Una dichiarazione talvolta in totale rifiuto della realtà. Serie di sconfitte consecutive, una manciata micragnosa di punti in classifica. Facile migliorare così, difficile fare peggio, ma certo si può. Rimpiango quel Walter Sabatini che approdato in una Salernitana moribonda si fece stampare una maglia con su scritto “7%” la percentuale di salvezza della squadra. Una lezione di realismo.

Il futsal prende a prestito un linguaggio che il calcio ha liso fino all’inverosimile, finendo per renderlo comico. Quale giocatore intervistato dopo una sconfitta ha mai dichiarato: “abbiamo giocato di merda“, l’unico allenatore da cui ho ascoltato una affermazione simile e Greg Popovic dopo che i suoi erano stati strapazzati dagli Hornets.

Apprezzo particolarmente: “dobbiamo dimenticare presto gli errori“. Non sarebbe invece il caso di ricordarli per non commetterli ancora? Provare a dichiarare un più sensato: “dobbiamo CORREGGERE gli errori” potrebbe risultare meno comico.

C’è anche un più sottile meta che corre trasversale nel fuSTal più riconoscibile nel femminile. L’incapacità di raccontare la sconfitta. “Buona gara, niente punti“. “Fare autocritica e lavorare” e l’immarcescibile: “senza commettere errori avremmo vinto“.

Il fuSTal ha debellato la sconfitta. Non perde mai nessuno, nessuno. Si potrebbe tentare l’esperimento di stilare una classifica della Serie A, basandosi solo sulle dichiarazioni post partita deducendo solo da quelle il risultato, potrebbe rivelarsi una realtà che non corrisponde a quella della classifica ufficiale.

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