A Euro 2024 le firme di punta del giornalismo sportivo saranno gli influencer tiktoker, così ha deciso la UEFA. Rammentare di come quarant’anni fa le firme del giornalismo sportivo italiano fossero: Gianni Brera, Gianni Mura, Mario Soldati, Giovanni Arpino, Oreste Del Buono è da boomer nostalgici.
È anche intellettualmente disonesto dimenticare che la trasmissione più seguita della TV d’allora fosse il Processo del Lunedì di Biscardi, non esattamente un cenacolo d’intellettuali e filosofi. Non s’è persa l’epica dello sport come qualcuno sostiene. Piuttosto la si è consumata fino a renderla così lisa da essere inutilizzabile.
Osservate il piccolo mondo antico del futsal italiano. La stessa storia si presenta identica a se stessa in almeno quattro spazi diversi. Quante volte pensate il lettore abbia voglia di leggere la medesima striminzita e inutile comunicazione?
La sfilata di content creator alla Cerimonia del Pallone d’Oro, la loro presenza a bordocampo non solo un sintomo declino dei tempi, più un segnale di fine impero del giornalismo sportivo, inteso come unico depositario di una verità che è sempre stata al servizio di qualcosa e non sempre s’è trattato della verità.
Perché soprattutto l’opinione, in particolare quella sportiva, è particolarmente soggettiva. Per oltre mezzo secolo il giornalismo italiano ha offerto ai suoi lettori non solo il racconto d’un epica come ama raccontare ma esclusivamente la propria opinione. Nella speranza nemmeno troppo celata d’orientare la disciplina che raccontavano, di essere non cantori ma attori.
Il pubblico che è emerso da quarant’anni di marchette quando s’è trovato di fronte ad una esperienza alternativa, non ha avuto dubbi. Sebbene il modello “Biscardi” funzioni ancora benissimo. Ammettiamolo, lo spagnolo “Chiringuito” e la fù “BoboTV” non sono altro che rivisitazioni dell’Aldo Nazionale.
Ogni professione che non si definisca corporazione è obbligata a confrontarsi con il mercato. Non può essere alternativo ad esso rivendicando una indipendenza che di fatto non esercita perché è alla ricerca di una influenza che deriva dai numeri. Quegli stessi numeri che ne indicano il successo economico.
Spesso ci si perde nella narrazione di macrosistemi. Torniamo quindi al piccolo mondo antico del futsal tricolore. Non è che forse l’assenza d’interesse dei giovani verso la disciplina sia dovuta proprio ad una narrazione che nella migliore delle ipotesi ricorda le pagine di Cioè e nella peggiore ci racconta chi ha fatto palo 4 volte di fila. Tralasciando il dettaglio ovvio dello spettacolo in campo. Davvero qualcuno ha interesse a guardare correre dietro ad un pallone quarantenni che non s’arrendono al trascorre del tempo?
Ricordare come si stava meglio quando si stava peggio è una tradizione particolarmente italiana. Falsa ma nostalgica. Non è che il futsal fosse più noto 20 anni fa di quanto lo fosse adesso. Sicuramente oggi perde l’occasione di rinnovare il suo linguaggio adattandolo ai tempi, cercando d’essere il primo a parlare ai giovani preferendo assecondare i presidenti di club e federali che pagano per essere raccontati.