Quelli della 3C

La solita bettola è chiusa. Nonostante sia occupata da un gruppo d’anziani incalliti giocatori di tresette. Un centro sociale a cielo aperto, antagonisti delle mogli che hanno sposato praticamente un secolo fa. Esperti di passatella e bestemmia libera.

Propongo: “PalaRoma“. Il bar ha le birre al prezzo “giusto” e dovrebbe essere aperto anche: “se non c’è nessun evento”. Che ci fa però lì fuori un pullman, con tanto di nome di una squadra? Cos’è questo fracasso da partita vera che arriva dall’interno? Forse la pallavolo femminile, azzardo.

Invece no, è il calcio a 5. Quello che più giù non si può scendere perché quello spazio se l’è preso il padel. Siamo venuti qui per una birra e ci ritroviamo in mezzo alle bandiere, alle esultanze fragorose, alle corse dopo un gol anche se la forma fisica consiglierebbe altro.

A loro importa. Nei piccoli centri, nelle realtà di vita che si stringono ad un momento lontano dall’anonima realtà. Quello che accade in campo è un riflesso con nessuna rilevanza tattica. C’è un legame diverso che collega il campo agli spalti, più intimo e personale.

La Serie C forse è così. Mi sorprende rumorosa. Mi ricorda di tutti quei volti che negli anni sono rimasti impigliati lì, per qualche ragione. Si mescolano così i mascara, le matite per gli occhi, i capelli pettinati a caso e tagliati peggio agli sprazzi di talento. Attitudine, come quella dei tassisti newyorkesi e il loro torneo di baseball.

Se il talento però, non s’incastra con la vita, da solo non basta. Arriva sempre quel momento nel quale sacrificare tutto non vale la pena. In un mondo che s’è riempito di profeti di resilienza, io preferisco quelli che hanno l’intelligenza d’abbandonare.

Ogni strada è soltanto una tra un milione di strade possibili. Perciò dovete sempre tenere presente che una via è soltanto una via. Se sentite di non doverla seguire, non siete obbligati a farlo in nessun caso, come Stewart Butterfield.

Li comprendo, pur dubitando. Ogni via è soltanto una via. Non è un affronto a voi stessi o ad altri abbandonarla, se è questo che vi suggerisce il cuore. Ma la decisione di continuare per quella strada o di lasciarla non deve essere provocata dalla paura o dall’ambizione.

Sacrificare tutto. Anche la vita. Per essere il primo. Ma queste non solo le 14 vette più alte del mondo e voi non siete Nirmal Purja. In realtà nessuno lo è. Questo è il calcetto, talvolta il calcio a 5, resta spesso quella pezza che cuciamo sui buchi della vita.

Oggi su quel campo ci sono quelli che spargono i cocci dei sogni infranti, quelli che li raccolgono cercando di ricomporli e quelli che li hanno appena tirati fuori dal cassetto. Come quello d’indossare un giorno la maglia del Barcellona o dello Sporting Lisbona. Quei sogni vanno lasciati liberi di trovare un posto nel quale possono diventare ricordi e non fantasmi, come quelli di squadre gloriose durate la vita d’un criceto.

Alla fine di questa storia, c’è sempre una coppa in mezzo al campo. Lucidata quel tanto che basta. Alzarla al cielo, importa. Se importa solo ad un piccolo gruppo e così sia. Qui, come in mille spazi grandi come coriandoli, tocca stare stretti per sentire di non essere soli.

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