L’arte della narrazione nel marketing sportivo è stata ridefinita dalle campagne pubblicitarie di Nike e Under Armour. Capaci di tracciare nuove rotte nel mondo dello storytelling legato allo sport.
Innanzitutto, il loro approccio comunicativo si pone oltre i confini della mera sponsorizzazione. Puntando a intrecciare un legame empatico tra il pubblico e il brand, l’atleta o l’evento sportivo in questione. Il suo fulcro risiede nell’esplorare e suscitare emozioni profonde che riflettono l’essenza umana.
Nike ha sapientemente incarnato questa prassi con la sua campagna “Dream Crazy”. Simboleggiata dalla presenza di Colin Kaepernick, celebre quarterback NFL, protagonista di proteste contro le ingiustizie razziali.
Questo inno ai sogni e alla resilienza ha messo in luce storie di ordinari eroi, spingendo il pubblico a credere nell’incrollabile potere dei propri sogni. Attraverso testimonianze di individui che hanno superato ostacoli insormontabili, Nike ha abbracciato temi sociali cruciali, come la parità di genere e l’inclusione, promuovendo valori di diversità e uguaglianza.
L’impatto di “Dream Crazy” è stato innegabile: ha riplasmato la percezione di Nike, consolidando l’azienda come portavoce di valori come la determinazione, la resilienza e l’attivismo sociale. L’engagement sui social media ha raggiunto livelli stratosferici, mentre ha anche cullato un senso di appartenenza e inclusione tra la clientela, spingendo tutti a perseguire i propri obiettivi.
Allo stesso modo, Under Armour ha adottato un approccio simile con la campagna “The Only Way Is Through”, lanciata nel gennaio 2020. Celebrando la forza d’animo degli atleti, ha ridefinito l’immagine del marchio su scala globale.
Attraverso una serie di medium, dal televisivo ai social, dai podcast alla pubblicità digitale, ha esaltato l’impegno di atleti iconici come Stephen Curry, Michael Phelps, Kelley O’Hara, Tom Brady e Zhu Ting. Tutti questi ambasciatori dell’impegno e della passione hanno contribuito a riflettere l’etica del duro lavoro e della determinazione nel superare ogni limite, fisico e mentale.
In uno spazio comunicativo condiviso, interconnesso ed estremamente permeabile, le invisibili discipline minori hanno l’obbligo di raccontarsi evadendo i triti schemi d’un passato remoto. Il successo del marketing sportivo è incentrato sul collegamento empatico tra gli attori dello sport e il pubblico, un cordone ombelicale emozionale.
Se nello sport professionistico s’è superata la centralità del risultato a favore di quella narrazione che racconti le vicissitudini emotive, come può uno sport minore come il futsal sperare di sopravvivere ed interessare un nuovo pubblico occupandosi esclusivamente di “chi ha fatto palo”. Senza legare in alcun modo le informazioni al sentire emotivo dei lettori.
Non può. La sua stagnazione, il suo eterno essere in espansione senza mai raggiungere una preminenza è figlio delle sue pratiche inefficienti. Un eterno giorno della marmotta ingloba il futsal italiano. Nel quale si ripetono le stesse azioni del passato aspettandosi però un risultato diverso.
L’universo della comunicazione è attraversato dalla tempesta delle AI generative, dall’arrivo degli influencer digitali, dai meta spazi di comunicazione e il calcetto invece s’ancora stretto a “Tonino Carino da Ascoli.”