La battaglia per l’attenzione

Il calcio come spettacolo, in Italia combatte una battaglia di sopravvivenza. Non per la minaccia della pirateria, causata più dall’ingordigia dei broadcaster che da una tendenza a delinquere degli utenti.

L’evento calcio, quello che durano 90 minuti resta appannaggio di vecchi nostalgici. L’ultima analisi di settore rivela che l’attenzione del pubblico del calcio non supera mai i 35 minuti. Quella che definiscono la “generazione highlights” cercando di denigrarla in realtà è attirata altrove.

35 minuti. È questo il tempo che il tifoso italiano medio dedica alle partite: non soltanto quelle della Serie A, si tratta di un trend globale. Perché quei ragazzini che in compagnia del papà tifoso seguivano le partite dalla televisione ora hanno acquisito quello che in marketing si definisce: potere di spesa.

Giovani adulti che quindi acquistano e guardano quello che piace a loro e non è il calcio. Perché l’evento è intrinsecamente lento. Pieno di momenti nei quali non accade nulla e generalmente troppo lungo per reggere la concorrenza di eventi che si risolvono in quindici minuti, come una partita di Fornite.

Il declino degli sport più tradizionali afflitti dalla estrema durata è una condizione che ha portato l’introduzione del “clock” prima di ogni lancio nella Major League Baseball, nel tentativo appunto di accorciare la durata degli incontri.

L’analisi del calcio come evento d’intrattenimento ha rilevato come circa centomila persone in più ogni weekend quindi virano verso uno schermo diverso dalla televisione: il telefonino, il tablet, il pc, i cosiddetti small screen: 665 mila a settimana un anno fa, 765 mila oggi.

Una preponderante maggioranza si collega con lo smartphone, quasi due su tre. Tracce tangibili di questo passaggio graduale verso schermi più piccoli. Più fruibili anche al ristorante o in palestra, se ne sono riscontrate fin da inizio stagione. In quelle partite giocate ad agosto, quando la gente era ancora in vacanza e magari si era attrezzata per seguire le partite sui dispositivi mobili.

La prima giornata è stata la meno vista della storia sulle tv tradizionali, che coprivano solo il 76 per cento dei collegamenti. E per Lecce-Lazio erano solo il 72 per cento. Quando nel 2021 Dazn, la tv in streaming, si è aggiudicata i diritti di tutte le partite del campionato, il progetto era chiaro: al suo fianco aveva Tim che si prefiggeva dichiaratamente di convincere gli italiani ad abbonarsi alla fibra, di utilizzare il calcio per cablare finalmente tutto il Paese.

In parte ha funzionato: chi si abbona a Dazn ha sempre una tariffa flat per internet. E se sono aumentate di circa due terzi le vendite delle tv che si connettono alla rete un impulso lo ha dato anche il pallone.

Se non soprattutto. Le partite più viste sugli schermi di casa sono soprattutto i big match e non si fatica a capire il perché. Per tutti gli altri, presto basterà uno smartphone e mezz’ora di attenzione.

Il futsal italiano? S’ostina ad andare in TV, relegato per ragioni ovviamente di slot sul canale YouTube di un noto broadcaster di settore e ha la sua webtv. Se la durata delle partite rientra ancora quasi nella finestra d’attenzione del pubblico, il problema al momento è la sua capacità d’essere competitivo.

La sua spettacolarità come disciplina al massimo livello, la UEFA Futsal Champions League, non è in discussione. Lo è casomai il campionato di Serie A, divenuto negli ultimi anni ritiro dorato di giocatori che non solo hanno attraversato il viale del tramonto hanno anche fatto un paio di giri lì intorno.

Così come al femminile, che se fatica ad affermarsi come calcio, annaspa letteralmente nella sua versione a rimbalzo controllato. I diritti per la Serie A di calcio femminile sono stati l’acquisto forzoso di DAZN, il dazio da pagare per avere in esclusiva gli audio del VAR della Serie A maschile. Se non valgono nulla quelli del calcio, figurarsi quelli del calcetto.

Sono un non prodotto, una condizione che condividono anche con la WNBA. Nulla che impedisca un futuro diverso. A condizione però di comprendere i tempi, i modi e i gusti d’un consumatore che parla con il suo portafoglio.

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