C’è un preciso istante nel quale un gruppo inizia il suo cammino per diventare una squadra. La porta dello spogliatoio si apre e per la prima volta c’è appesa una maglia lì, dove sei solita sedere. La tua, solo la tua, il tuo numero. Ecco che con indosso le maglie da gioco, tutto cambia.
“Prima il capitano e poi io”.
Maglia rossa da portiere, ginocchiere e il piglio di chi deve guidare una difesa. Eppure è da un po’ più in basso delle spalle del suo capitano che arriva quella voce. Non si può non essere emozionati insieme a loro. In quello spazio che separa lo spogliatoio dal campo.
Un po’ come ad un ballo delle debuttanti, c’è l’incognita di una partita, una vera con l’arbitro e perfino il tabellone accesso a segnare i gol. I led luminosi come per la pallavolo. I tifosi sugli spalti e non importa che siano tutti un po’ parenti, sono comunque più di quelli che vedo in Serie A di futsal.
La maglia della squadra di casa è quasi biancoazzurra, quasi perché l’azzurro no è proprio azzurro. Un pantone diverso forse. Allineate lungo il tunnel come le squadre dei grandi, quelle “vere”. Piego la testa a guardarle tutte in fila e vogliono mettersi in posa per la foto e io: “ragazze è un po’ presto per fare le modelle”.
Ancora quella maglia, sembra troppo grande oppure sono troppo pochi quei nove anni per riempirla tutta. Under 15, si decisamente. Non conosco nessun nome, per me sono i loro numeri, gli occhi vispi e le loro parole frenetiche che spesso iniziano e finiscono con la parola mister.
Mister. Brenda e Eva. La prima decisamente più emozionata di quando è lei a scendere in campo. La seconda s’aggira tra le “sue” ragazze, scambiando una parola con tutte. Stanno per scendere in campo anche loro, al debutto. Chissà se si rivedono anche loro così: piccole, ignare, emozionatissime e felici come le ragazze che hanno intorno a loro.
Certo conta vincere o perdere, altrimenti non avrebbe senso tenerlo acceso quel tabellone. Queste ragazzine piccole con le maglie troppo lunghe carcano la combinazione centrale-laterale-pivot, con la caparbietà di chi vuol dimostrare d’aver imparato. S’impara oggi quello che domani non potranno dimenticare.
“M’ha dato un colpo alla pancia” ed è così che racconta il suo primo contatto vero con l’avversario, il primo scontro di gioco. Impara in fretta, tira su le lacrime che iniziavano a scendere e dopo poco torna in campo. Al contrasto successivo, ci mette anche il suo di fisico nello scontro. Crescono queste piccole donne, velocemente.
Ma quella con la numero cinque dell’altra squadra, io sono sicuro d’averla vista. È figlia d’arte. Incrociata sui campi della Serie C, della A2 femminile a far il tifo per la sua mamma mentre divideva una Nintendo Switch con il fratello e s’alternavano a giocare ad Animal Crossing. Stesso ruolo della sua mamma, stesso numero di maglia.
Fischio finale e la squadra di casa corre come fanno i “grandi” sotto la tribuna, per scivolare davanti agli smartphone dei genitori, quelli che forse non hanno mai smesso di riprendere, scattare e condividere le gesta delle loro piccole calciatrici.
Guardo l’indicatore della mia reflex, ci sono oltre 130 scatti. Non ne scattavo così tanti da anni, dalle prime finali, nelle quali la frenesia di perdere l’istante giusto prendeva il sopravvento. Non ha nessun senso penso: “questa è l’under 15 femminile di futsal, la loro prima partita”.
Forse perché ad essere lì a bordocampo si finisce con l’essere coinvolti in un momento che per le ragazze non si ripeterà mai più con la stessa intensità. Questa è stata la loro prima partita ufficiale. L’inizio di una sentiero, quanto lungo nessuno può saperlo ma il primo passo è fatto.