Proprio vero, il bar non porta ricordi ma tutti i ricordi portano inevitabilmente al bar. In una sorta di Central Perk, come nell’immortale serie Friends, sono seduto ad attendere d’ascoltarne una. Le voci di nazionalità diverse di mischiano come le storie di vita mentre l’odore del pane si mescola a quello del caffè.
Questo racconto parte da un posto vicino al mare, senza essere sul mare. Un luogo che fu d’emigrazione intensa dall’Italia, di coraggio e d’avventura e d’un oceano di mezzo, d’un continente pieno di passione, colori e forti contrasti.
Gli occhi di questa donna di futsal sono blu, come quelli del cielo negli anime. “Bluissimi” come direbbe la piccola bimba con i capelli ricci e selvaggi che sfreccia tra i tavoli. Sembra disegnata con un bordo che la stacca dallo sfondo. Somiglia a quelle compagne di banco sempre troppo serie che poi all’improvviso s’infiammano accendendosi come rientrassero nell’atmosfera dallo spazio.
Parla quando ha qualcosa da dire, le sue parole sono l’espressione d’un pensiero laterale, non alternativo ma semplicemente possibile. Il viso sembra segnato dal tempo e invece sono i ricordi ad aver disegnato strade che le solcano il volto. Partono sempre da lì, dai suoi occhi.
Come i ricordi di bambina con il suo pallone. “Mi diverto a giocare” e le sue parole in un italiano migliore di quello di molti indigeni hanno il suono che avrebbe sul viso di una bimba, ma continuamente declinato al presente.
La mamma che l’accompagna ovunque, come una di quelle soccer mom che vogliono la felicità per i loro figli e non per forza il successo. La fatica e l’orgoglio d’aver inseguito un sogno lontanissima da casa. Le lacrime versate. Perché tutte, davvero tutte le storie di sport e di vita sono impastate così, di acqua salata, come il mare.
Sette ore di viaggio la separano da casa, non rappresentano solo una distanza nello spazio oppure una di tempo. Diventano l’incudine sulla quale si forgia il carattere, diventano un momento che s’aggrappa al cuore per non andare mai via. S’impara a non mollare, a resistere quel tanto che basta a battere l’avversario anche quando è la malinconia. Anche a 14 anni.
Chapecó come scuola di vita, come occasione per studiare, per imparare a vincere e a cambiare se necessario. Competere per vincere. Il racconto della sua vita s’appoggia decisa alla sua voce che sembra non salire mai di tono, come se non ci fosse una nota fuori posto.
Partita da uno di quei posti nei quali non vedi mai scomparire l’orizzonte, punteggiati da case ad un piano quasi costruite a caso fino a fermarsi almeno per un pò sulla spiaggia sabbiosa dalla quale nelle giornate particolarmente limpide puoi vedere l’altra sponda dell’Adriatico e le montagne degli appennini innevate.
Si muove su un parquet lucidissimo come quelle maestre d’un tempo, impegnata ad insegnare ai suoi piccoli allievi non solo la tecnica. Una delle sue ragazze la chiama proprio così: “maestra”. Seduta in terra in cerchio nel mezzo delle “sue” bimbe sembra esattamente così.
Passare il dono. Restituire. In una società nella quale c’insegnano che dobbiamo cavarcela da soli trovare qualcuno che crede ancora nel potere della condivisione non è facile, né semplice, né scontato.
M’accorgo ora di non aver mai usato il suo nome, forse perché vorrei che questa fosse una storia nella quale ci si possa ritrovare, come al bar appunto. Una di quelle storie di sacrifici, sudore e lacrime alla quale possa credere anche quella ragazzina con i capelli al vento che corre dinoccolata e sembra somigliare a Redondo.
Brenda, questa è la sua storia oppure la tua che leggi. Brenda come uno dei personaggi di Beverly Hills 90210, come quell’inverno duro e pieno di lacrime, come quel magone che ti prende il cuore e sembra che ti soffochi ma poi basta resistere ancora un po’ per volare verso i propri sogni.
Resistere quel secondo in più rispetto al tuo avversario, per deviare in porta sulla sirena il gol decisivo, quello che ti porta in paradiso, quello sportivo almeno. La donna dentro all’atleta spesso viene seppellita dal gesto tecnico, da una classifica o dalla pochezza degli uomini. Brenda è però ancora così come quella bimba che corre davanti ai suoi occhi, felice di giocare.