Il problema della “Rosea” ma anche del calcetto

Il calcio attraversa un momento storico di grande cambiamento soprattutto a livello comunicativo. L’incapacità di adattarsi ad un orizzonte di mutati linguaggi e medium si riflette direttamente sulla prominenza dello sport come forma d’intrattenimento.

Non stupisce che la presenza di Speed, un content creator da 2 milioni di follower e 1.8 miliardi di visualizzazioni, alla cerimonia del Ballon d’Or indigni uno degli inviati della Gazzetta dello Sport. Darren Jason Watkins Jr. è reo agli occhi del giornalista italiano di violare la sacralità (scritto esattamente così) dell’evento. Nemmeno si trattasse della consegna del Premio Nobel.

Si indigna anche perché il ragazzo non riconosce Novak Djokovic (che sia invece un siparietto?) e perché appunto è più conosciuto del numero uno ATP. Via così. L’articolo si dipana lungo una lamentosa e malmostosa narrativa e racconta di quanto questo muovo modo di comunicare, sia il male dello sport. Anche se un male “necessario”.

https://www.youtube.com/watch?v=5K5Rd1o4bW8

Che c’entra questo con il calcetto nostrano? Tutto, come sempre. Già perché il futsal italico nella sua comunicazione è ancorato a vecchi schemi che fanno sembrare Tonino Carino da Ascoli un rapper Straight Outta Compton. Citazione cinematografica doverosa e che mancava da un po’. Esattamente come il commento malmostoso della “rosea”.

L’intervistatore che pone la solita domanda inginocchiata, il mediatore di luoghi comuni, è ormai stato scavalcato da quegli atleti che producono un loro podcast, hanno un loro canale twitch, youtube o tiktok. New Heights il podcast dei fratelli Kelce, due atleti di altissimo livello della NFL, uno dei due è attualmente il compagno di Taylor Swift, è in assoluto il podcast sportivo più seguito del pianeta. Lo conducono loro due, gli atleti. Probabilmente chiusi nella vostra nicchia sportiva ignoravate la loro esistenza.

In Spagna e nei paesi di lingua spagnola, Ibai ormai è più influente anche del El chiringuito de Jugones. Un programma quest’ultimo che farebbe sembrare il Processo di Biscardi un convegno di filosofi. Ibai ha il doppio dei follower di Marca e As combinati.

Perché è stato il filtro del giornalista di turno, spesso più preoccupato di non irritare la proprietà del network o della squadra che di generare una conversazione interessante, ad uccidere un certo tipo di racconto sportivo.

Nel futsal italiano si perpetra lo stesso medesimo delitto. Se nel calcio a 5 italiano questa vetusta narrativa non fosse alimentata economicamente dalle squadre, ma si basasse sugli introiti generati dai lettori, pensate davvero che sarebbe ancora strutturata così?

La mediazione tradizionale non è morta. Come non lo è il giornalismo su carta stampata. Non gode nemmeno di ottima salute, continuerà ad esserci ma la sua influenza sul pubblico è ridicolosamente nulla. Quante volte pensate sia possibile propinare allo stesso lettore “una partita alla volta”, “non c’è sconfitta nel cuore di chi lotta”, prima che questo si diriga altrove?

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