Volley al Pala Roma

La mia ultima partita di volley risale ad una vita che sembra oggi davvero troppo lontana. C’era Giulia, i colori giallo e blu, Modena di notte e quel momento da condividere perché quello era il suo sport. Lei da lì non se più mossa, ha messo su famiglia. È diventata una donna responsabile e forse lo è sempre stata. Anche quando pesava come il vento e i suoi occhi erano i più tristi che abbia mai visto sebbene d’un blu che non dovrebbe essere possibile.

Un arbitro di calcio a 5 molto ligio al regolamento m’ha costretto a consegnare un documento per restare a bordocampo di una partita di futsal femminile che è più vicina al calcetto di quello che le protagoniste ammetterebbero. Perdo così mezz’ora sulla mia tabella di marcia verso l’incontro di volley femminile di Serie A2. Maledetta B di futsal femminile.

Quando prendo il “mio” posto sugli spalti del Pala Roma ho la netta impressione di non riconoscere davvero lo stesso luogo che aveva visto uno striminzito, anemico e decisamente brutto pareggio tra Montesilvano e Molfetta per la Serie A femminile di futsal solo ventiquattr’ore prima.

Il parquet è coperto da qualcosa che sembra un polionda rosa con stampati gli sponsor istituzionali della lega, ci sono i led con gli sponsor, una nutrita crew che si occupa anche del play by play sul lato corto del campo vicino al bar. Le porte del calcio a 5 sembrano quasi sparite.

Scopro essere posizionato sul lato che ospita al momento la squadra ospite. Le ragazze non occupano la panchina ma sono raggruppate in un angolo, c’è chi sorride, chi commenta l’andamento della partita e chi sembra stranamente seria, quasi preoccupata. In uno sport nel quale essere molto alti è un prerequisito apprezzato, simpatizzo subito per quella donna atleta di statura condivisibile, da me.

Come per il basket che seguo per le storie dei giocatori, così la pallavolo genera il mio entusiasmo in funzione di un rapporto mio difficile con gli sport nei quali è meglio essere alti, molto. Trasferisco le foto dell’altra partita mentre mi guardo intorno cercando di capire cosa porterò a casa, via da qui.

Ad ogni punto, indipendentemente dal vantaggio acquisito o perso, si danno tutte il cinque. Tutte, letteralmente. Sono una brutta persona, quindi mi chiedo subito: “perché?”. Cerco di concentrarmi sui visi, nel capire cosa accade e perché. La squadra di casa sembra in grossa difficoltà ma in qualche modo porta a casa il secondo set.

A bordocampo c’è Oumaima El Mahi, indossa la maglia numero due e sorride in quel modo che ti sembra di poterlo vedere anche da lontano. Il nome l’ho trovato poi consultando il roster della squadra. Perché non gioca, è infortunata, rotta oppure non è abbastanza brava? Ecco, lo sto facendo di nuovo, cerco una storia dentro ad una montagna di capelli ricci.

In campo salta dall’alto del suo metro e ottantasei centimetri, Maria Teresa Bassi. La vedo schiacciare e penso che con le lunge treccine che svolazzano le foto verranno fichissime e allora mi concentro. Il volley però è uno sport che svolge gran parte della sua fase offensiva sull’asse verticale.

Ho passato gli ultimi anni a raccontare e fotografare sport che su quell’asse sviluppano solo i gesti eccezionali, come le rovesciate. Sono in difficoltà, tecnica e tattica. Tattica perché non ho alcuna idea, delle storie che hanno portato questo gruppo di atlete qui: “dietro al Burger King”. Per nessuna delle due squadre. Tecnica perché ora ho capito perché la fotografa della squadra di casa è a metà degli spalti sopra di me.

Mi sento come quando vado teatro senza libretto di un opera che non ho mai visto. Oppure peggio è scritto in una lingua che non comprendo. Non ho fatto i compiti a casa, di proposito. Non volevo che le informazioni di carattere tecnico, mi togliessero il senso della scoperta.

Emma Falcone, indossa la casacca numero 12, la maglia diversa dalle compagne, quindi è il libero. Sembra quella essere più trasportata emotivamente dall’incontro almeno fino a quando Maria Teresa “Terry” non mi regala la foto che ha giustificato il mio essere lì. L’urlo liberatorio forse per festeggiare il non essere ancora a zero nella casella “set vinti”.

Ho la storia che cercavo e anche il motivo per tornare.
Alla prossima in casa.

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