Questione di passaporti

Nel futsal spesso si tramanda una vulgata, che ci siano abbastanza giocatori di qualità in Brasile da poter schierare più di una nazionale competitiva nelle competizioni internazionali. Probabilmente non è una affermazione campata in aria e ancora più probabilmente è davvero così.

Almeno questo devono aver pensato in Armenia e Georgia. Quando applicando norme governative piuttosto fumose sulla nazionalizzazione hanno elargito cittadinanze per meriti sportivi e relativi passaporti ad un nutrito gruppo di cittadini brasiliani casualmente bravi nel gioco del futsal. Questo non è in fondo “best sport on earth”? La terra è un unico pianeta e siamo tutti cittadini della terra.

Se il futsal è lo sport migliore al mondo, deve esserlo in tutti i suoi aspetti. Perché allora non far sembrare il passaporto italiano del calciatore cileno Recoba un’opera d’arte, invece che stampato in uno scantinato di Appiano Gentile? Perché però tutta questa attenzione sui documenti di un gruppo di brasilano-georgiani e armeno-brasiliani? Facile risposta per entrambe le domande: vincere. In uno sport che costa molto meno del calcio e al quale in pochi anche negli organismi di vigilanza prestano attenzione.

C’è voluta la delazione della federazione finlandese e quella portoghese per portare a galla questa passaportopoli in salsa futsal. La UEFA che è l’organo di governo del calcio europeo, almeno così ama dipingersi, non s’è accorta di nulla. Non s’è insospettita del vedere i vari -ao come suffisso a cognomi armeni oppure come mai -ito è il suffisso di tanti nomi georgiani.

La Georgia però c’ha tenuto a distinguersi ulteriormente. Perché falsificare clamorosamente solo dei documenti, nei quali mancavano i più basilari elementi identificativi del soggetto. Si può fare di meglio: disputare le partite in ambienti non idonei alla competizione. Non semplicemente nelle dimensioni del campo, ma nella struttura stessa. Non ci sono gli spalti? Ne montiamo di provvisori. Best sport on the universe, perché fermarsi al pianeta terra.

La marcia d’avvicinamento al mondiale di futsal assomiglia così sempre più a quella del calcio, ma con meno raffinatezza nella delinquenza dirigenziale. Ammettiamolo se nel futsal quando ci sono dirigenti davvero capaci, finiscono poi nel calcio oppure smettono perché vincono facile e per tanto tempo, come a San Martino di Lupari.

L’Italia ovviamente è estranea a queste pratiche di nazionalizzazioni selvagge, anche se poi un avo al cimitero non si negava a nessuno solo qualche tempo fa. Ora abbiamo la nuova generazione cresciuta a pane e Coppa della Divisione, sono loro il brillante futuro del futsal italiano. Good Luck, o come direbbero in Georgia e Armenia: Boa Sorte.

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