La questione portoghese

La vittoria della nazionale maschile portoghese di futsal nella kermesse continentale under 19, in Italia sembra aver riaperto un vecchio dibattito, circa l’efficacia del sistema italiano del futsal. Una serie di dissertazioni che spesso confondo o tralasciano aspetti importanti di una narrativa sportiva che così risulta distopica.

Correva l’anno del signore 2015. A Lisbona, sede delle finali di UEFA Futsal Champions League, venivano presentati i risultati ottenuti dal progetto di sviluppo del futsal della FPF lanciato nel 2011. Perno di quel programma è sempre stato l’incremento dei tesserati totali. Il futsal è parte della federazione non si tratta quindi di duplicare in una sorta di cartolarizzazione sintetica il numero dei cartellini. La FPF ha puntato a trovarne di nuovi, ovunque fossero. Nelle scuole, nei tornei per strada, in quelli universitari.

Tra gli addetti ai lavori presenti in quella sala conferenze gremita c’era l’allora presidente della Divisione Calcio a 5 Tonelli, invitato a parlare di “nazionali e nazionalizzati” argomento sul quale eravamo ferratissimi e si erano costruiti i successi degli azzurri di futsal. Nel suo intervento, in riferimento all’aspetto dell’inserimento del futsal come materia nelle scuole, lo definì “irrealizzabile”, senza mai spiegare perché. Vien da chiedersi come abbia fatto la pallamano e perfino il football americano e far inserire il flag nelle scuole italiane o il frisbee. Derubricato quindi l’intero progetto al concetto di “è possibile in Portogallo” occorre stabilire con esattezza alcune delle norme in vigore nel paese del vinho verde.

Per un giocatore straniero occorrono cinque (5) anni di residenza prima di poter chiedere ed usufruire della doppia cittadinanza. Esattamente come qualche anno fa in Italia, le distinte di gara devono essere composte al 50% da giocatori formati in Portogallo. Per essere considerati formati in Portogallo bisogna aver svolto attività nei settori giovanili per almeno 4 anni. Il tesseramento degli extracomunitari è libero (nella forma di quel 50% non formato).

Ma ammettiamo che questi non siano dettagli fondamentali per comprendere un sistema di norme che disciplinano una pratica sportiva. Indaghiamo l’altra differenza sostanziale, la presenza nella Liga Placard (la loro Serie A) di alcuni dei grandi club di calcio. Sporting e Benfica, sono polisportive così come la quasi totalità delle squadre.

C’è uno Sporting anche nell’hockey pista e un Benfica di pallavolo femminile. Ma non ci sarà mai un Porto di futsal. In una intervista del 2022, Pinto da Costa il presidente del Porto dichiarò: “Il futsal costa solo 250 mila euro? Per giocare contro il Benfica ed lo Sporting ci vogliono due milioni se non volete finire suonati come dei tamburi ad una festa”.

Fine. Non ci sono i due milioni per il futsal. Certo il Porto è un club con una proprietà diffusa, uno di quei club ad azionariato popolare. Però sappiamo bene che quei club, senza il munifico intervento di un presidente fanno la fine di un pulcioso Barcellona qualsiasi, si riempiono di debiti e s’impegnano anche il futuro.

Sebbene quei due milioni rappresentino anche il costo collettivo del consiglio d’amministrazione del Porto, questo non ha smosso Jorge Nuno de Lima Pinto da Costa. È il presidente di Josè Mourinho, si tratta di un ex cassiere di banca che è sopravvissuto al più grande scandalo portoghese del calcio nel 2004, con un buffetto sulla guancia e la promessa di non farlo più. Il Porto non avrà una squadra di futsal a meno che non andiate da lui con due milioni di euro da donare alla causa.

Mi chiedo come mai con tutti questi progetti che si sposano, con questi campionati a sigle alterne A2, A2 Elite, ma anche gold e silver, non se ne realizzi nemmeno uno di questi programmi, uno capace d’avere un respiro più ampio di quello d’un minatore belga con la silicosi.

Non ci resta che sperare che Cristo si fermi ancora ad Eboli e che tifi Italia, fortissimo.

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