Il calcio ha scoperto negli anni, molto lentamente, che poteva spremere il tifoso. Quasi senza riguardo per quest’ultimo. La passione non ha prezzo, con questo slogan abusato si circuiva il tifoso. All’apparenza scritto e declamato per onorare e festeggiare la parte più importante del calcio: gli appassionati.
In realtà almeno negli ultimi 10 anni, quelli che affollano i settori una volta considerati “popolari” hanno scoperto di essere dei clienti. Alla stessa stregua di quelli che comprano un biglietto per andare al cinema, con la sostanziale differenza che al cinefilo non viene rifilato un titolo a caso, spesso brutto, quando stacca il biglietto.
Il tifoso, quello rumoroso da curva, è anche spesso stato un problema. Quel popolare come aggettivo riferito a coloro che affollano i settori più viscerali dello stadio è di frequente diventato sinonimo di malavita e malaffare.
Le telecamere, l’inefficace DASPO e tutte le misure preventive che hanno militarizzato gli stadi italiani in parte hanno contribuito ad allontanare le frange più estreme del tifo. Ma non a debellarle. È accaduto così che le società scoprissero uno strumento più efficace: il prezzo del biglietto. Mettendo in atto di fatto, una gentrificazione delle curve.
La gentrificazione è un concetto sociologico. Indica il progressivo cambiamento socioculturale di un’area urbana da proletaria a borghese a seguito dell’acquisto di immobili e loro conseguente rivalutazione sul mercato, da parte di soggetti abbienti. Insomma il processo di allontanare i più poveri alzando i prezzi.
Gli incassi delle partite anche nella Serie A di calcio contano per un residuale 20 per cento sul bilancio delle società. Non si tratta quindi di un tentativo di incrementare gli introiti. Lo spettacolo in campo poi in Italia è scaduto a favore di altri campionati, come la Premier League. Il tifoso s’è quindi sentito spremuto e cliente per la prima volta nella storia recente del calcio.
I così detti prezzi popolari sono stati il volano del successo del calcio a discapito proprio di altri sport. Pensate che se per una curva in Serie B di calcio è di 14 euro per due ore di spettacolo. Se me ne chiedete 10 per vedere dei non professionisti giocare alla palla corda, capite bene che la Serie B è di gran lunga una esibizione più allettante.
Paradossalmente proprio questi sport meno di massa hanno seguito l’esempio del calcio nel costo dei biglietti. Se volete guardare il Modena Volley giocare in casa, dai settori popolari, dovete scucire un biglietto da 20 euro e ve ne danno di resto due. Attenzione per le partite così dette premium ne tirate fuori 25.
Con 30 dollari, 28 euro ad un cambio approssimativo, posso guardare a Los Angeles per circa tre ore: Commanders vs Rams. Con 10 euro ci sono i posti in cima alla Kop e la pinta di birra da non consumare in vista campo se aggiungo due euro.
L’Italia sembra refrattaria a comprendere che è in competizione con un mercato sportivo planetario. Che sono sufficienti 35 euro per prendere un volo per Liverpool, da Ciampino e ritrovarsi davvero a cantare “You’ll Never Walk Alone” dalla Kop. Invece di scucirne 10 per accmodarsi in un palazzetto senza aria condizionata, semivuoto e privo di bar.
L’esperienza è quella che oggi può attirare un cliente ad una partita, qualsiasi sia lo sport. Non solo lo spettacolo sul campo ma quello che l’evento aggiunge emotivamente all’incontro sportivo. La variabile del prezzo oggi come ieri è fondamentale per l’acquirente.
Certo posso acquistare un Blanc Cuvéè S Le Mesnil del 1997. Bere un ottimo champagne da 1800 euro a bottiglia e all’esercente basterà avere me come cliente. Uno Scacciadiavoli lo comprate per 25 euro, e ci vorranno 72 persone nel locale per fare lo stesso incasso, però quanto è pieno così il locale?