Manziel, untold

Esiste un mantra nel mondo dello sport agonistico di squadra: “un solo giocatore non può battere una squadra”. Avevo sempre prestato fede incondizionata in questa sorta di rivelazione sportiva.

Fino al 10 Novembre 2012. Vedete, ricordo esattamente la data senza nemmeno doverla cercare. Ricordo con chi ero seduto a guardare la partita, il tavolo bianco, le patatine di un qualche sottomarca e la birra dalla marca altrettanto misteriosa.

Quel giorno. Davanti a 110 mila spettatori vestiti di “crimson” che è un rosso ma molto intenso, quasi amaranto, ho visto un solo giocatore, battere la migliore squadra di sempre nel College Football.

Quel giorno un ragazzino di appena diciotto anni, faceva a pezzi una squadra che era letteralmente imbattibile. DA SOLO. Uno di quegli eventi sportivi che cambiano per sempre la prospettiva con la quale si guarda ad uno sport e ad un giocatore.

Un metro e ottanta nelle sue giornate migliori. “Troppo piccolo per giocare a football in college”. Diventa il primo “freshman” a vincere il più prestigioso premio per un atleta di football americano universitario l’Heismann.

Se avete Netflix, regalatevi un’ora e mezza per guardare Untold – Johnny Football. Non perché sia una storia edificante ma perché è LA storia d’un talento troppo grande per il ragazzo che c’era intorno.

Rivedere quella gara al Cotton Bowl a distanza di 11 anni ha avuto su di me lo stesso effetto d’incredulità d’allora. Non poteva batterli ma l’ha fatto. Da solo. C’erano altri 10 compagni in campo ma senza di lui, quella squadra non avrebbe mai battuto la Crimson Tide.

Una storia che è anche il rumore del tamburo che batte a vuoto sul colpo nella pistola. Johnny racconta di quel momento con la voce d’un uomo che ha 29 anni solo all’anagrafe. Il punto di più basso di una vita spesa per distruggersi fino al punto in cui il suo suicidio sarebbe stato un evento che tutti avrebbero potuto giustificare.

Manziel è il più grande talento del college football non per le sue abilità fisiche ma per essere capace di praticare uno sport ad altissimo livello, appoggiandosi esclusivamente ad una innata capacità di comprenderlo.

Un giocatore capace d’andare a festeggiare il Martedì Grasso a New Orleans vestito da Scooby Doo e il giorno dopo in pieno post sbronza spazzare via l’avversario di turno, sudando via i residui dell’alcool.

Se mai un giorno guarderete una partita di football americano di college, nel catino del Kyle Stadium dalle parti di College Station e sugli spalti vedrete dei tifosi vestiti con il costume di Scooby Doo, ecco ora sapete il perché.

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