In una recente intervista comparsa sul Secolo XIX , Gianni Petrucci attuale presidente della Federazione Italiana Pallacanestro, ha spiegato il suo punto di vista sul futuro della sua carica e sulla prevista riforma dei mandati.
Petrucci, 78 anni, dopo la laurea in Scienze Politiche alla Sapienza, ha trascorso la sua intera carriera professionale da dirigente sportivo. Presidente del CONI, Commissario Straordinario della FIGC e nel tempo libero anche sindaco di San Felice al Circeo.
Di recente nominato dal presidente della Salernitana Iervolino come nuovo membro del consiglio d’amministrazione della società campana. Così per non farsi mancare un nuovo impegno.
Ci sono alcuni suoi virgolettati però dell’articolo pubblicato sul quotidiano genovese che risuonano sinistri e preoccupanti per tutte le realtà sportive federali.
“La legge che non pone un limite di mandati è sacrosanta. Ne esiste una per i parlamentari? Così ogni federazione rischia di diventare una monarchia assoluta? A me piace più l’imperialismo illuminato di Cesare.”
Attento alle Idi di Marzo, verrebbe così da pensare. Più probabilmente Petrucci pensa che la sua lunga esperienza di palazzo lo renda immune alle pugnalate e ai complotti.
Tuttavia quella scelta lessicale rivela un pensiero diffuso trasversalmente in ambito sportivo.
Il presidente della Federazione di Tiro a Volo e lì da sempre. Così molti che s’insediano lo fanno con il principale intento di creare un elettorato clientelare così diffuso da renderli appunto despoti regolarmente eletti.
“In Parlamento c’è stato un ricambio? Noi siamo eletti democraticamente. Saremo antipatici, ma a me non tange. L’invidia è il risentimento dei perdenti”
La chiosa del presidente della Federazione Italiana Pallacanestro riguardo al limite dei mandati potrebbe essere persino condivisibile se non fosse per le nette differenze tra i due elettorati, quello parlamentare e quello sportivo.
I massimi dirigenti delle federazioni sono in sostanza oligarchi. Vengono scelti da un ristretto numero di soggetti che acquisiscono il voto tramite una transazione economica. Investono soldi in una squadra di cui sono presidenti.
Nella loro posizione sono in condizione di esercitare indirizzo e controllo sull’attività della federazione tanto da indicarne attraverso il consiglio federale la nomina. Una giustizia sportiva che occorre ricordarlo non ha l’obbligo della prova che ricade sull’accusato.
Il presidente federale ha di fatto il potere anche per silenziare la sua opposizione, i famigerati deferimenti in procura (sportiva ndr). Si crea così un sistema che di democratico ha solo il processo di voto, che a volte però somiglia più ad una riffa.
Se le discipline sportive si evolvono, non lo fanno altrettanto in fretta le sue strutture politiche. Il successo della Premier League non è frutto della FA piuttosto la dimostrazione del fallimento della federazione calcistica inglese nel percepire il mutamento anche economico della disciplina.