Caffè Corretto – Competizioni per donne

Qualche tempo fa in un lungo articolo su Sports Illustrated si analizzavano i problemi della WNBA. Le atlete ci sono, la tecnica anche manca però lo spettacolo e gli spettatori. Più esattamente mancano le schiacciate.

Qualcuno propose d’abbassare l’altezza del canestro per favorire il gesto atletico, quello tra i più spettacolari. L’idea è stata rigettata dalle stesse giocatrici con un laconico: “non è più pallacanestro”. Il concetto che le donne debbano essere “aiutate” a competere è vecchio come il mondo. Il sesso debole.

Il problema più semplicemente risiede una metrica: l’altezza media. Nella NBA l’altezza media è 2.01, nella WNBA è di 183 centimetri. Certo a 1.75 Nate Robinson ha vinto tre volte la gara delle schiacciate all’All Star Game NBA ma una eccezione non conferma la regola.

La maggior parte delle competizioni, soprattutto di squadra, sono pensate per gli uomini perché fino a gran parte del secolo scorso, alle donne non era nemmeno concesso il voto, figurarsi mettersi in pantaloncini per fare uno sport davanti ad un pubblico. Un inimmaginabile oltraggio alla cultura dell’epoca.

L’unico sport di massa, nel quale le donne non competono con le medesime regole degli uomini è il baseball. Negli Stati Uniti e non solo, le squadre femminili praticano il softball. Campo più piccolo, palla più grande e per giunta gialla, differente stile di lancio. Spesso nella sua versione slow pitch. Con una importante eccezione, la Little League. Competizione per ragazzi e ragazze fino a 18 anni nelle quali spesso sul monte di lancio hanno un estremo successo proprio le giovani donne.

Mo’ne Davis ne è l’esempio più lampante. Le sue performances nelle Little League World Series del 2014 le valsero la copertina di Sports Illustrated, la bibbia dello sport a stelle e strisce. Quattordici anni è una palla veloce da 110 chilometri orari.

La sua vicenda ispirò anche una serie tv: Pitch. Cancellata dopo una sola stagione. Raccontare in una fiction le vicende della prima donna lanciatore in Major League e per giunta afroamericana non ha aiutato molto nei ratings. Se riuscite a recuperarla, merita e in fondo sono solo dieci puntate.

L’articolo di Sport Illustrated che ho citato all’inizio concludeva con una considerazione, un consiglio allo spettatore che s’approccia allo sport al femminile: “osservarlo per quello che è e non valutarlo per quello che non è”.

Osservo le nazionali di calcio di Francia, Brasile, Stati Uniti e Giappone in questo Mondiale di calcio femminile. Le loro prestazioni contribuiscono ad elidere anche quella differenza atletica. Mostrano che con una adeguata selezione e sviluppo delle atlete, alcune delle partite al femminile sono indistinguibili da quelle maschili. Forse quando troviamo delle differenze ci dimentichiamo di tutto il calcio scadente al maschile che abbiamo consumato volontariamente negli anni.

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