Il paternalismo del risultato

C’è una irritante abitudine tutta italiana nel raccontare i risultati dello sport al femminile, con una vena marcatamente paternalista. Non sono solo gli uomini a commentare d’un bicchiere sempre mezzo pieno anche quando è clamorosamente vuoto.

Dieci minuti di Svezia – Italia, gara del girone del mondiale 2023. “Si vede che la Svezia è in difficoltà, mette la palla in fallo laterale”. Il commento è di una delle più grandi giocatrici italiane di sempre, Carolina Morace.

L’intenzione di promuovere lo sport che si ama spesso induce a valicare inconsciamente i confini della realtà. La Svezia è terza nel ranking FIFA, l’Italia è sedicesima. Le vichinghe si sono sempre qualificate al mondiale, le azzurre festeggiano quando accade.

I fatti non si sconvolgono per dieci minuti di pressing nella metà campo avversaria. Non valgono nemmeno le ragioni dei ritardati cognitivi: “il campo è troppo grande e lungo”. Com’è che non lo è per la Svezia che ci rifila tre gol di testa uguali, sfruttando l’altezza. Perché in Italia non ci sono atlete alte? Cecilia Zandalasini è alta 189 centimetri ma è finita a giocare a basket.

Subiamo la fisicità degli avversari. Esattamente come accade nel futsal. Smettetela di raccontare che negli spazi stretti conta la tecnica. Se l’avversario di 1 e 80 ti appoggia un mano sul petto tu resti a un metro di distanza dal pallone e non importa quanto è raffinato il tuo piede sinistro. Se vado via in velocità non importa quanto tu sia bravo a fare una diagonale, ti lascio a corrermi dietro. Esattamente come nel quinto gol della seconda linea svedese contro il nostro miglior difensore.

Perché dovremmo vedere per le donne il bicchiere mezzo pieno quando se fosse accaduto alla nazionale maschile avremmo letto e scritto: “Travolte, umiliate” e chissà quale altro aggettivo catastrofico.

Basta aver seguito un po’ il calcio femminile italiano per comprendere la realtà di una disciplina che in quanto a qualità si trova ad ere geologiche di distanza dal resto del mondo. Sedici posti più in basso degli Stati Uniti che affronteremo con molta probabilità negli ottavi. Per uscire lì.

Quando avremo il coraggio d’ammettere, che quella maglia, quella azzurra, non ha nessun superpotere. Non trasforma una nazionale in una corazzata solo in virtù della passione d’un popolo la segue. L’Islanda è davanti a noi nel ranking mondiale, cos’è in una isoletta con i geyser si gioca più a calcio che in Italia? No. Si gioca meglio. C’è più voglia d’insegnare i fondamentali e non i movimenti tattici.

Oggi l’Italia femminile è semplicemente lo specchio d’un movimento in difficoltà per la mancanza d’insegnanti. Quelli che s’applicano con i fondamentali, che t’insegnano uno stop e non una diagonale. Quelli che setacciano in cerca di talento non quelli che costruiscono pupazzetti tutti uguali e quindi scarsi.

Il futsal non è diverso. È esattamente il riflesso di quello che vedete in campo nel calcio, solo in uno spazio più stretto e con molti meno praticanti. Non c’è abbastanza talento perché nessuno si prende la briga di cercarlo, meglio prendere l’ennesima quarantenne già pronta. Non c’è talento nel futsal perché non ci sono formatori, insegnanti. Però abbiamo tenuto testa per un tempo alla Svezia. Peccato che c’avevano già rifilato tre gol.

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